A due passi dall’inferno
Death Valley, andata e (auspicabile) ritorno…
Non è una buona idea recarsi nella Death Valley in estate, ma se ormai è troppo tardi per cambiare i piani e temete che ciò che vi attende a Las Vegas vi faccia rimpiangere panorami sterminati e silenzio, ecco un motivo in più per non perdersi questa meraviglia della natura più ostile e selvaggia. Attrezzatevi bene, e con buona probabilità le presenze luciferine del parco vi accoglieranno con placida benevolenza.
Con temperature che in estate sfiorano facilmente i 50 gradi è d’obbligo procurarsi un’abbondante riserva d’acqua, magari un po’ di frutta e un bel pieno di carburante. È vero che ci sono alcune pompe di benzina, ma per una legge di natura che qui non fa eccezione (e qui la natura è un po’ dispotica), se rimarrete a secco il distributore sarà lontanissimo, e una passeggiata sotto il sole con la tanica in mano è un aneddoto che potete risparmiare a chi vi aspetta al ritorno dalle ferie. La situazione è completamente diversa nei mesi invernali, quando la media delle temperature è compresa tra i +20 °C e i +26 °C, gli americani infatti si recano nella Death Valley in questo periodo, quando dopo brevi ma intense piogge è possibile ammirare lo spettacolo del deserto fiorito.
Questo straordinario parco naturale, con il suo paesaggio desertico, le montagne ondulate dai colori struggenti e i bianchi laghi di sale non teme confronti. La Death Valley, considerata il punto più basso dell’America del Nord, comprende vaste zone al di sotto del livello del mare, con formazioni geologiche uniche e scenari paesaggistici surreali. Molte migliaia di anni fa l’area – un territorio di quasi 14.000 km², compreso fra i margini orientali della California e i confini col Nevada – era occupata da un immenso lago circondato da alte montagne, che fu riassorbito da fenomeni eruttivi che abbassarono il fondovalle sotto il livello del mare.
La Valle della Morte deve il suo nome a un gruppo di cercatori d’oro che, nel 1849, dirigendosi in California con le loro famiglie, disinformati e senza mappe, tentarono una scorciatoia attraversando il fondovalle salato. Trascorsero un mese fra spaventose privazioni, per sopravvivere mangiarono i loro buoi cuocendoli con la legna ricavata dai carri, prima di riuscire a fuggire dalla valle e raggiungere l’area dell’attuale Stovepipe Wells. Nella seconda metà del XIX secolo, lo sfruttamento minerario, soprattutto del borace, favorì alcuni insediamenti produttivi, ma restarono un episodio isolato.
Ci sono diversi ingressi alla Death Valley, il più comodo è attraverso il villaggio di Furnace Creek, dove troverete un Visitor Center che vi può fornire tutte le indicazioni che desiderate; qui c’è anche un ristorante, qualche negozietto e un distributore di benzina. Un self service dall’aspetto modesto si fa apprezzare per la presenza di nebulizzatori d’acqua nel patio, quanto basta per attirare i turisti al suo interno, dove inaspettatamente un menu a prezzo fisso rivela una buona varietà di piatti semplici e gustosi (una rarità in tutto il viaggio on the road). Approfittatene perché potreste non avere altre occasioni di ristoro.
Lasciata Furnace Creek, riprendete la CA Hwy 190 e dopo 5 miglia arriverete a Zabriskie Point, un punto panoramico a 216 m d’altezza da cui si gode di una spettacolare vista sul settore occidentale della Death Valley e sulla Panamint Range, con suggestivi calanchi (badlands) e una distesa di pinnacoli dal colore sulfureo; è la location della parte centrale del film omonimo di Michelangelo Antonioni, una storia di amore e morte, che ha segnato gli anni ’70. Perdersi a guardare il panorama è struggente, soprattutto se arrivate prima di un pullman di turisti.
Proseguendo verso sud, attraversando il Twenty Mule Team Canyon (deve il suo nome alle pariglie composte da diciotto muli e due cavalli che trasportavano il borace dalle miniere) riprendete la CA Hwy 190; dopo 24 miglia una deviazione a destra sulla Dante’s View Road conduce a Dante’s View, a 1800 m di quota, con un belvedere mozzafiato su catene montuose alternate a valli piatte e depresse; la suggestione all’Inferno dantesco è immediata, l’inquietudine si fa sentire, il calore attanaglia il respiro e fa girare la testa.
In direzione sud-ovest parte la strada che in 2 miglia raggiunge il Golden Canyon, una gola che deve il suo nome al colore dorato delle rocce, e più avanti ha inizio l’Artists Drive, una strada circolare a senso unico che si percorre da sud verso nord, con un percorso di 9 miglia attraverso le Black Mountains. Se vi siete avventurati fino a qui proverete la sensazione non proprio confortevole di essere investiti dal getto caldo di un phon, e sentirete la pelle e gli occhi disidratarsi, ma sarete ripagati dalle magnifiche colorazioni delle rocce, che grazie all’ossidazione dei minerali sfoggiano una palette di tonalità che vira dal viola al verde, passando per l’azzurro turchese, l’oro e il rame. Non è un caso se questo punto preciso viene chiamato Artist’s Palette.
Qualche miglia più avanti si prospetta il Devil’s Golf Course: se già accarezzavate l’idea di un green rinfrescante, rapido sarà il disincanto: si tratta di una distesa di depositi salini risalenti a 2000 anni fa, che raggiungono una profondità di 300 metri, là dove una volta c’era un lago. Qui solo il Diavolo gioca a golf e se non volete sfidarlo sbrigatevi a tornare in auto per dirigervi 10 miglia più avanti al Badwater Basin, una vasta salina che raggiunge il punto più basso del Nord America (86 m sotto il livello del mare): deve il suo nome “bad water” (acqua cattiva) a un asino che si rifiutò di bere a una sorgente locale.
Superato il Devil’s Cornfield, una distesa di singolari ciuffi d’erba, gli arrow weed, che con un po’ di fantasia ricordano le fascine di mais, arriverete al Mesquite Flat Sand Dunes. Qui un deserto di dune di sabbia circondate da montagne particolarmente suggestive disegnano un paesaggio lunare; qualche tronco d’albero arso dal sole diventa l’unico riparo, ma poco rassicuranti cartelli elencano una serie di animaletti in cui potreste imbattervi: fra questi i più mansueti sono scorpioni e serpenti. Optate per una breve sosta, giusto il tempo per qualche magnifico scatto. Qualche miglia più in là sorge il minuscolo villaggio di Stovepipe Wells, con un provvidenziale distributore di benzina, un minimarket dove rifornirsi d’acqua, e una stazione dei ranger, per qualche informazione in più e per registrarvi se volete pernottare in campeggio.
Restano ancora da vedere le splendide dune di sabbia dell’Eureka Valley, (attenzione a serpenti e coyote che abitano nella zona) e lo stupefacente Ubehebe Crater, un cratere vulcanico formatosi circa 2000 anni fa in seguito a un’esplosione violenta.
Il nostro viaggio termina qui, le stelle si accendono su una landa misteriosa, inquietante e solitaria, lasciando un senso di ancestrale stordimento. Las Vegas può attendere.
Nathalie Anne Dodd
Ph Tiberio Frascari.