Il film di Leonardo Di Costanzo, presentato fuori concorso a Venezia 78, è tra i film iscritti per la candidatura italiana agli Oscar

Ci sono leggi non scritte quando si frequenta il Lido. Una di queste sta nel non soffermarsi mai al concorso ufficiale. Di qualità, va detto. Ma visto il livello di film presentati alla 78° Mostra del Cinema di Venezia, non ci si poteva fermare qui. Le produzioni italiane di questa edizione sono degli ottimi indicatori dello stato di salute del nostro cinema, dal prodotto mainstream a quello più sofisticato. Il fuori concorso, ad esempio, presentava dei racconti davvero notevoli, sia documentari che film di finzione. Come Ariaferma di Leonardo Di Costanzo.  Il regista napoletano non è nuovo a Venezia. L’intervallo (2012), la sua opera prima, debuttò per la prima volta nella sezione Orizzonti a Venezia 69. Una storia che contiene non poche similitudini con Ariaferma, ambientato nel carcere San Sebastiano di Sassari.

La trama
Per Leonardo Di Costanzo è il suo terzo film da regista, dopo essere passato alla Quinzaine des Réalizateurs con L’intrusa. L’autore, tornando a Venezia, ha scelto di raccontare due personaggi agli antipodi. Da un lato Gaetano, ispettore di Polizia Penitenziaria interpretato da Toni Servillo; dall’altro Carmine Lagioia, boss detenuto che qui ha il volto di Silvio Orlando. Già scrivere questi due nomi in un pezzo dovrebbe essere sufficiente. Ma il regista non si è accontentato. Ha deciso di chiuderli dentro un carcere, limitando l’accesso a pochissime stanze. Un po’ troppo drastico, vero? Meglio fare un passo indietro. L’istituto in quei giorni si trova in un periodo di transizione. Ormai è in disuso, non essendo in grado di garantire un livello di sicurezza adeguato. Per questo, tutti i detenuti devono essere spostati in altre strutture, liberandolo nel giro di pochi giorni. Qualcuno ha fatto male i conti, visto che rimangono in esubero alcuni detenuti che dovranno attendere prima di essere ricollocati.

Amico e nemico
Da qui si verrà a creare una sorta di limbo, tenuto sospeso da un tempo infinito. Questo perché il regista da quel momento decide di concentrare tutto in un unico spazio, con le celle sparse in cerchio delimitando l’azione nel film. Una sensazione quasi minacciosa essendo che in mezzo ci stanno loro, le guardie. La fermezza dell’autore si percepisce dalle prime inquadrature, salde, precise, ma che non sconfinano mai. Lasciano parlare chi sta davanti a loro, perché sono loro a scrivere la loro storia, con le loro scelte, i loro sguardi. Il film accumula tutto rielaborando le relazioni che si vengono a creare nel carcere. Nulla è scontato. Quando questi due mondi convivono sullo stesso piano, può accadere di tutto. Un errore può stravolgere l’ordine che sin qui ha stabilito i ruoli nonché i legami all’interno di questa struttura. Eppure a governare le due fazioni, seppur con alcuni imprevisti e screzi al loro interno, sono due attori straordinari che hanno in mano il polso dei loro rispettivi personaggi. Toni Servillo e Silvio Orlando rispecchiano due figure opposte, ma con in comune una razionalità che si mantiene viva fino alla fine. L’emotività in quel caso non può funzionare in una situazione critica. Ma i poli in un modo o nell’altro si attraggono. Nel bene o nel male. E quindi l’unica mossa è cercare di impedire attriti, in un equilibrio dove l’umanità è l’unico aspetto rilevante. La sceneggiatura di Ariaferma, scritta da Di Costanzo insieme a Valia Santella e Bruno Oliviero, non nasconde il passato, gli sbagli e i peccati, ma lascia emergere i caratteri inaspettati, scavando in fondo nella psicologia dei singoli personaggi. Un film corale, intenso, dove anche il silenzio e l’assenza, come si vede anche nelle singole interpretazioni di Servillo e Orlando, trasmettono quell’empatia necessaria allo spettatore per capire cosa provano davvero. Quando Gaetano afferma che con Lagioia non ha niente in comune sbaglia. E lo capirà stando lì, in un luogo dove le sbarre non sono poi così nette come lo erano prima.

 

Riccardo Lo Re

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