Da progettista a costruttore, una vita per un solo obiettivo: creare le più belle auto del mondo

La sua è stata una continua ricerca del bello e della perfezione. Geniale e innovatore. Appassionato dalla tecnologia e delle capacità artigianali. Il suo obiettivo: l’eccellenza. Figlio di artisti e artista lui stesso. Il padre, Carlo Bugatti, dai poliedrici interessi, era un importante designer di gioielli, mobili e arredamenti in stile Liberty, pittore, scultore e inventore delle biciclette da corsa, il fratello minore Rembrandt – morto suicida trentunenne – anche lui un importante scultore, il nonno, Giovanni Luigi, altro scultore e architetto.

In casa era abituato a frequentare rappresentanti della cultura, fra cui Puccini, Tolstoj, Segantini – che divenne il compagno della zia Luigia, detta Bice – Illica e De Grandi. Da queste frequentazioni Ettore Arco Isidoro Bugatti (Milano 15 settembre 1881- Neuilly-Sur-Seine 21 agosto 1967) matura la sua filosofia: l’attività creativa deve essere manifestazione e coronamento della personalità e non mero mezzo di guadagno. Per lui l’arte non può essere appresa ed è meglio desistere, se mediocri, piuttosto che tentare di migliorare. Con tale convinzione abbandona, nel 1898, l’Accademia di Brera quando si accorge di non poter andare oltre un certo limite che, confrontandosi anche con gli altri componenti della famiglia, lo relega a un posto di basso profilo. Intanto nel 1895 prova un triciclo, telaio Rochet Schneider e motore De Dion-Bouton, costruito su licenza dalla milanese Prinetti & Stucchi che oltre alle macchine da cucire si stava specializzando nei nuovi mezzi.

È amore a prima vista. In poco tempo si impadronisce dei segreti della guida, si interessa alla tecnologia mostrando subito uno spiccato intuito per la meccanica. Capisce di aver trovato la sua strada e nel 1898 entra, come semplice apprendista non salariato – ruolo che lui rivendica con fierezza perché lo considerava sinonimo di indipendenza e fase necessaria poiché ritiene di aver ancora tanto da apprendere – nella Prinetti&Stucchi i cui proprietari sono amici del padre.

Nel frattempo, partecipa a diverse competizioni dove mette alla prova le modifiche tecniche e meccaniche da lui apportate. Arrivano parecchie vittorie, come, ad esempio, nel 1899, la Verona-Mantova davanti a piloti famosi al tempo, come Roberto Biscaretti e Antonio Fraschini. Inizia a essere un nome nel mondo delle corse. Partecipare alle gare, per Bugatti, è sia un banco di prova dei mezzi sia un veicolo pubblicitario, filosofia che non abbandonò mai.

Sempre nel 1898 alla Prineti&Stucchi, costruisce la Type-1 la prima creazione automobilistica e la prima vettura a montare gli pneumatici di un’altra azienda milanese, la Pirelli & C. L’anno successivo, visto che la ditta presso cui lavora non era intenzionata a dedicarsi alle auto decide di mettersi in proprio. Grazie all’intraprendenza dimostrata durante varie competizioni e alle sue intuizioni, viene finanziato dai Conti Gulinelli di Ferrara, proprietari e allevatori di cavalli e di una scuderia frequentata anche dal Re. I titolati gli consentono di lavorare in un garage del castello di Quarto.

Nei tempi liberi Ettore si dedica all’equitazione che diventa una vera passione ricordata, con la staffa, nel disegno del radiatore delle sue auto. Nasce la Type 2, capace di toccare i 60km/h, velocità pazzesca per quei tempi. Presenta all’esposizione automobilistica di Milano del 1901, vince il primo premio. In questa occasione è notato dal barone Eugène De Dietrich che lo invita a lavorare nel suo stabilimento di Niederbronn, in Alsazia. Gli viene proposto il suo primo contratto che però, minorenne, non può firmare: al suo posto l’accordo è siglato dal padre Carlo. Nel frattempo, si sposa con Barbara Mascherpa Bolzoni, che morirà nel 1944, aristocratica artista lirica. Dal matrimonio nascono quattro figli, Ebè o Barbara, Lidia, Roland e Jean che morirà nel 1939 collaudando la Bugatti T57. In seconde nozze sposerà Geneviève Marguerite Delcuze da cui nasceranno Thérèse e Michel.

Tra il 1903 e il 1904 costruisce, con  marchio Dietrich Bugatti, le T3 e la T4. Poco dopo la progettazione della T5 il barone rinuncia al mondo delle automobili e lascia libero Ettore. Finanziato da Emile Mathis, giovane imprenditore di Strasburgo, e partendo dal prototipo della T5, che aveva un propulsore da 60Cv, Ettore Bugatti pensa a una vettura di grosse dimensioni, la cui realizzazione viene affidata alla Società Alsaziana di Costruzioni Meccaniche di Graffenstaden. Nascono prima la T6, con 50 e 60cv e poi la T7, con 90cv, modelli, venduti con il marcio Hermes. Terminata la collaborazione con Emile Mathis, Bugatti finanziato dalla Darmstadt Bank disegna e costruisce un’altra vettura di grandi dimensioni, la T8 proposta alla Deutz AG di Colonia che oltre ad acquistarne i diritti lo assume come ingegnere capo.

Nel 1908 arriva la T9, trasmissione cardanica all’assale posteriore, quella che è considerata come la partenza del vero e proprio Bugatti style. Dopo ci sarà la Type 10. Disegnata e costruita da Ettore Bugatti nel garage della sua casa di Colonia, è simile all’Isotta Fraschini FE del 1908, e si basa su di un principio rivoluzionario: il peso è nemico della velocità. E quindi, sarà leggerissima, solo 300 chilogrammi, per una cilindrata di 1.100cc. Il nome scelto ha echi equestri, si chiamerà Puro Sangue. Interrotto il rapporto con la Deutz AG torna in Alsazia, a Imolese e fonda la sua società di automobili, grazie anche all’aiuto del barone Augustin de Vizcaya, banchiere spagnolo.

Il 1° gennaio del 1910 inizia l’avventura del “Patron”, come sarà chiameranno da allora in poi. Ettore ha una doppia anima, conservatrice e innovatrice, se, per esempio, molti suoi modelli nel corso degli anni mantengono invariate soluzioni tecniche, sono anche adottate soluzioni tecniche innovative come la distribuzione plurivalvole, che si impone come alternativa alle classiche distribuzioni a due valvole per cilindro.

L’anima vera di Ettore Bugatti rimane, comunque, quella di un artista. Ogni auto ha un design raffinato e prestazioni d’altissimo livello. Tra le più belle e interessanti spicca la T35, la regina delle corse degli anni Venti, duemila le vittorie ottenute, un primato tutt’oggi insuperato nella storia delle competizioni automobilistiche. Alla prima edizione del Gran Premio di Monaco, 14 aprile 1929, si aggiudica il podio alto con William Grover-Williams. Bugatti lavora anche a una maestosa vettura di gran lusso, la Royale, chiamata anche Bugatti Gold per le numerose parti in oro del prototipo. L’obiettivo è surclassare Rolls Royce e Maybach. Sarà una delle più grandi e lussuose auto di sempre, ma a causa della crisi del ’29 ne sono vendute solo 3 rispetto alle 6 prodotte. I motori della Royale saranno poi utilizzati per l’Autorail il primo treno ad alta velocità, antesignano del TGV. Nel frattempo, Ettore progetta un aereo, il 100P, dall’aerodinamica innovativa e soluzioni avanzatissime per l’epoca, equipaggiato con un motore da 450cv che gli avrebbe fatto superare gli 800 chilometri orari.

Lo scoppio della Seconda guerra mondiale bloccò lo studio. Inizia un lento declino, i cui prodromi si erano palesati nel 1939 dopo la morte del figlio Jean per un incidente. Durante la Seconda guerra mondiale la famiglia perde il controllo dell’azienda e nel 1941 la fabbrica è sequestrata e messa a disposizione dell’esercito tedesco, obbligando Bugatti a cedere volontariamente l’azienda per evitare la vendita giudiziaria all’asta. Il prezzo ricevuto è di 150 milioni di franchi, la metà del valore stimato. A causa della vendita forzata, finita la guerra, Ettore Bugatti è accusato di collaborazionismo e la fabbrica, distrutta dai bombardamenti, confiscata dal governo francese. Avendo voluto sempre mantenere la cittadinanza italiana, oltretutto, Bugatti si trova escluso dalle indennità versate a chi ha riportato danni di guerra. Solo dopo la naturalizzazione francese nel 1946, Bugatti cerca di ottenere la restituzione dell’azienda. In primo grado, preso il tribunale di Saverne, perde la causa. Vincerà in appello, presso la corte di Colmar l’11 giugno 1947. Nel frattempo, si ammala di polmonite e un’embolia lo lascia semi-paralizzato. Entrato in uno stato di incoscienza è ricoverato all’ospedale americano di Neuille-Sur-Seine, dove muore il 21 agosto. Sarà sepolto nel cimitero di Dorlisheim.

 

Fabio Schiavo

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