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Charrière e il giardino primordiale nel cuore di Parigi

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22/05/2024

Fino all’1 giugno 2024, la galleria Perrotin di Parigi presenta Panchronic Gardens, la prima personale dell’artista franco-svizzero Julian Charrière.

L’indagine artistica di Charrière indaga l’estremo impatto che l’umanità causa nei confronti della natura ormai indifesa. Le ingerenze ecologiche sono infinite e l’artista tenta di consapevolizzare tramite la creazione di spazi liminali, ai confini della sopravvivenza umana. Ricreando aree destinate a test nucleari a siti d’intensa estrazione industriale, caldere vulcaniche e interminabili distese ghiacciate, le origini dell’artista sono riconducibili alla cerchia di Olafur Eliasson, riconosciuto in Italia grazie a All We Ever Wanted Was Everything and Everywhere presentata nel 2019 al MAMbo di Bologna. Spaziando tra scultura, fotografia, film e installazione, Charrière esplora le zone più remote del pianeta tramite l’approccio cosciente dei limiti imposti dalla capacità di sussistenza di ognuno di noi. Le sue opere inducono ad una riflessione mirata: i territori a noi inaccessibili sono i medesimi nei quali avvengono i più ingenti mutamenti della terra, i medesimi nei quali i posizionamenti geo-politici vengono programmano e la devastazione climatica avanza imperterrita senza pietà. Il connubio tra opere video e pezzi scultorei ipnotici, genera un’installazione del tutto immersiva come quella che dà il nome all’intera mostra. Rievocando uno dei metodi estrattivi più nocivi e irreparabili per mano umana, l’estrazione del Carbonifero, la centenaria estrazione dalla litosfera e dalle floride foreste che nutrivano il pianeta trenta milioni di anni fa, Panchronic Garden reclama agli atti la nostra coscienza sensibile. Tra gli inestimabili pezzi in mostra, And Beneath It All Flows Liquid Fire, una fontana settecentesca attorniata da infernali lingue di fuoco, incarna la coesistenza di elementi opposti tali fuoco acqua. La mostra incapsula fasi temporali diversificate, ipnotizzando il pubblico con una spettacolare e drammatica bellezza. Un autentico giardino dell’Eden che si rivela però intrinseco di sinistra voluttà, circonda imponente chiunque vi si ritrovi, inebriandolo di profonda ambiguità. Pancronico è il passepartout del suo capolavoro. Stéphane Malfettes, direttore dell’auditorium del Louvre e di Subsistances (laboratorio internazionale di creazione e pratiche artistiche di Lione), stendendo la sua nota critica precisa che l’artista allude a un organismo, vegetale o animale che sia, morfologicamente somigliante ad una specie che genera un giardino del terzo tipo. Qui le felci ancestrali proliferano, consentendo la ricostruzione organica di un biotopo del Carbonifero, l’era geologica in cui il carbone comparve sul pianeta. Era nella quale, trecento milioni di anni fa, le nostre attuali riserve di combustibili fossili erano verdi foreste prosperose. Il cupo e incombente terrario di Charrière palesa dinnanzi ai nostri occhi la palpabile artificialità della nostra concezione di natura. Grazie alla strategica luce infrarossa, la fibra di carbonio costituente le pareti e il pavimento a specchio infinito, e il vortice sonoro, il risultato è una simbiosi tra il naturale e l’artificiale, una magistrale fusione che ci rende attoniti al cospetto di questo sconcertante spazio atemporale. La laboriosità del risultato è frutto dell’ingegno tecnico dell’ideatore, servitosi di un arzigogolato sistema informatico collegato a sua volta alle terminazioni di numerosi sensori, dando vita a idilliaci paesaggi sonori. Offrendo una visione di ambienti interamente orchestrati dal tessuto sensoriale delle piante, i dispositivi high-tech rilevano la particolare sensibilità di tali organismi viventi all’ecosistema in cui sussistono. Julian Charrière ha elaborato e aperto un canale di comunicazione soprannaturale che libera, o forse condanna, questi esseri viventi radicati al suolo dalle catene, dalla loro consuetudine più nota, il silenzio. Non sono da scordare i cimeli chimerici di A Stone Dream of You (2024). Accuratamente ordinata sul pavimento della galleria, la serie composta da ossidiane e rocce vulcaniche rivenute in Messico testimoniano millenari fenomeni geotermici. Terrificanti tremori sismici, improvvise eruzioni magmatiche e assestamenti della crosta terrestre. Scenari rivelatori di mondi ormai fossilizzati e atmosfere utopiche dal fascino viscerale, affiorano anche dai fumi di questa opera d’arte dall’estetizzante oscurità. Come volendo citare la Land Art di fine anni Sessanta, tanto utopica quanto ancestrale, Charrière dichiara “l’arte diventa uno strumento per esplorare grandi astrazioni”.

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