Claudia Andujar, una vita per gli Yanomami
Uno straordinario contributo in difesa del popolo amazzonico
La forza esplosiva delle fotografie di Claudia Andujar è quanto mai attuale alla luce delle rinnovate minacce che incombono sugli Yanomami – uno dei più grandi gruppi indigeni del Brasile – e sul bacino amazzonico. Per oltre cinque decenni, la fotografa ha dedicato la sua vita a questo popolo, realizzando un progetto senza precedenti sulla sua visione cosmologica e un potente atto d’accusa sulle violenze perpetrate contro di esso.
Dal 30 gennaio fino al 10 maggio la Fondation Cartier pour l’art contemporain di Parigi presenterà Claudia Andujar, La Lutte Yanomami, la più grande mostra finora dedicata all’opera della grande fotografa, basata su quattro anni di ricerca nel suo archivio fotografico. La mostra, curata da Thyago Nogueira per l’Instituto Moreira Salles , in Brasile, si concentrerà sul suo lavoro di questo periodo, riunendo oltre trecento fotografie, una serie di disegni degli Yanomami e l’installazione audiovisiva Genocide of the Yanomami: Death of Brazil.
La mostra esplorerà lo straordinario contributo di Claudia Andujar all’arte della fotografia e il suo importante ruolo di attivista per i diritti umani nella difesa degli Yanomami. È divisa in due sezioni che riflettono la duplice natura di una carriera impegnata sia nell’estetica che nell’attivismo. La prima sezione presenta le fotografie dei suoi primi sette anni di vita con gli Yanomami, mostrando come ha affrontato le sfide dell’interpretazione visiva di una cultura complessa. La seconda presenta il lavoro che ha prodotto durante il suo periodo di attivismo, quando ha iniziato a usare la sua fotografia come strumento, tra gli altri, per il cambiamento politico.
Claudia Andujar è nata a Neuchâtel, in Svizzera, nel 1931, e attualmente vive e lavora a San Paolo. È cresciuta in Transilvania, che all’epoca era stata incorporata dalla Romania dopo anni di dominazione ungherese. Durante la Seconda guerra mondiale, il padre di Claudia, un ebreo ungherese, fu deportato a Dachau dove fu ucciso insieme alla maggior parte dei parenti paterni. Claudia Andujar fuggì con la madre in Svizzera, emigrò prima negli Stati Uniti nel 1946, poi in Brasile nel 1955, dove iniziò la sua carriera di fotoreporter.
La fotografa ha conosciuto gli Yanomami nel 1971 mentre lavorava a un articolo sull’Amazzonia per la rivista Realidade. Affascinata dalla cultura di questa comunità isolata, dopo aver ricevuto una borsa di studio Guggenheim per sostenere il progetto, decise di dedicarsi a un approfondito saggio fotografico sulla loro vita quotidiana. Fin dall’inizio, il suo approccio si differenziava molto dallo stile documentaristico dei suoi contemporanei. Le fotografie che ha realizzato in questo periodo mostrano come ha sperimentato una varietà di tecniche fotografiche nel tentativo di tradurre visivamente la cultura sciamanica del popolo amazzonico. Applicando vaselina all’obiettivo della macchina fotografica, utilizzando flash, lampade a olio e pellicole a infrarossi, ha creato distorsioni visive, striature di luce e colori saturi, infondendo alle sue immagini un’atmosfera da aldilà.
Claudia Andujar ha anche sviluppato una serie di sobri ritratti in bianco e nero che catturano la grazia, la dignità e l’umanità degli indigeni. Concentrandosi sui volti e sui frammenti del corpo, ha usato un chiaroscuro drammatico per creare una sensazione di intimità e attirare l’attenzione sugli stati psicologici individuali. Accanto alle numerose fotografie scattate in questo periodo, la mostra presenterà anche una selezione di disegni degli Yanomami. Dopo anni di fotografie, Claudia Andujar ha ritenuto importante dar loro la possibilità di rappresentare la propria concezione della natura e dell’universo. Ha così avviato un progetto di disegno, dotando i membri della comunità di pennarelli e carta. Una selezione di questi disegni che rappresentano i miti, i rituali e le visioni sciamaniche sarà presentata in mostra.
Di grande rilievo è l’installazione audiovisiva Genocide of the Yanomami: Death of Brazil (1989-2018): ricreata appositamente per la mostra, è stata originariamente realizzata in reazione ai decreti firmati nel 1989, che hanno smembrato il territorio degli Yanomami in diciannove riserve separate. Prodotta con le foto dell’archivio di Claudia Andujar, ri-fotografata con luci e filtri, la proiezione conduce il visitatore da un mondo armonioso a un mondo devastato dal progresso della civiltà occidentale. L’installazione è accompagnata da una colonna sonora composta da Marlui Miranda che combina canti Yanomami e musica sperimentale.
Nel 1992, in seguito alla campagna condotta dalla fotografa, dal missionario Carlo Zacquini, dall’antropologo Bruce Albert e dallo sciamano e portavoce degli Yanomami, Davi Kopenawa, il governo brasiliano ha accettato di demarcare legalmente il territorio degli Yanomami. Riconosciuto alla vigilia della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, questo territorio è ancora minacciato dall’estrazione e dal taglio illegale di legname.
Come racconta Davi Kopenawa Yanomami: “Claudia Andujar venne in Brasile, visitò prima San Paolo, poi Brasília e Boa Vista, infine giunse nelle terre degli Yanomami. Lì ha conosciuto la missione Catrimani. Pensava a un progetto, a cosa avrebbe fatto, a cosa avrebbe piantato. A come si pianta un banano o un anacardio. Indossava i vestiti degli Yanomami per fare amicizia. Non è una Yanomami, ma è una vera amica. Ha fotografato i parti, le donne, i bambini. Poi mi ha insegnato a combattere, a difendere il nostro popolo, la terra, la lingua, i costumi, le usanze, le feste, le danze, i canti e lo sciamanesimo. Mi ha spiegato le cose come farebbe mia madre. Non sapevo come combattere contro i politici, contro i non indigeni. È stato un bene che mi abbia dato l’arco e la freccia come arma, non per uccidere i bianchi, ma per parlare in difesa del popolo Yanomami. È molto importante per tutti voi vedere il lavoro che ha fatto. Ci sono molte foto di Yanomami che sono già morti, ma queste foto sono importanti per conoscere e rispettare il mio popolo. Chi non conosce gli Yanomami li conoscerà attraverso queste immagini. Il mio popolo sono loro. Non li avete mai incontrati, ma sono presenti qui. È importante per me e per voi, per i vostri figli e figlie, per giovani e adulti, bambini, imparare a vedere e rispettare il popolo Yanomami del Brasile che vive in questa terra da molti anni”.
In concomitanza con la mostra, la Fondation Cartier pubblicherà il catalogo in francese e in inglese, presentando le fotografie dell’artista e alcuni estratti dei suoi quaderni e dei disegni di Yanomami. Assieme ai testi di Claudia Andujar, Thyago Nogueira e Bruce Albert, sarà presentata una mappa del territorio Yanomami e una linea temporale che documenta la vita dell’artista e la storia del popolo Yanomami.
Nathalie Anne Dodd