Il carcere dell’Asinara diventa un albergo diffuso
L’oasi di prigionia rinasce offrendo soggiorni in “gattabuia”. Ecco la sua storia
Poche anime e un centinaio di asinelli bianchi popolano l’Asinara e fanno veglia ai suoi cinquanta chilometri quadrati di terra selvaggia, vantando un isolamento storico che ha permesso all’isola di rimanere negli anni un paradiso incontaminato. Ma per chi ci si ritrova imprigionato, anche un simile paradiso diventa presto un luogo di pena, soprattutto se di mezzo c’è il mare a separarlo dalla libertà. Brevissimo è quindi il passaggio da locus amoenus a “Isola del Diavolo”, come fu definita da alcuni detenuti.
Sull’Asinara sorge quella che fu una delle carceri di massima sicurezza più dure di sempre, diremmo paragonabile ad Alcatraz, per le condizioni disumane in cui versavano i prigionieri e soprattutto per l’alto livello di inespugnabilità della struttura, dotata di rigidi sistemi di controllo. Nonostante la vicinanza alla costa sarda desse l’idea che scappare a nuoto fosse una soluzione perseguibile per la fuga, le correnti che impetuose si scatenano da quelle parti rendevano difficilissimo allontanarsi dall’isola. Missione impossibile, dunque, ma non per tutti: Matteo Boe, bandito sardo di Lula, fu l’unico che riuscì a sfidare le guardie evadendo dalla fortezza e a fuggire a bordo di un gommone con l’aiuto della moglie, rimanendo poi latitante per sei lunghi anni.
L’ex penitenziario si compone di undici distaccamenti, in cui venivano collocati i reclusi in base alla condanna e alla pena da scontare. Ricordiamo tra questi quello di Fornelli, edificato a fine Ottocento, in cui vennero ospitati i detenuti più pericolosi, e quello di Cala d’Oliva, nel cui villaggio trovarono spazio la direzione del complesso, gli alloggi degli impiegati, la chiesa, la scuola e la diramazione centrale. Sempre a Cala d’Oliva, vi era il bunker del “capo dei capi” Salvatore Riina, imprigionato in una stanza illuminata giorno e notte, soprannominata “la discoteca”.
Come possiamo immaginare, questo posto ha tanto da raccontare. L’Asinara infatti, venne scelta nel 1885, in epoca di Italia postunitaria, come sede delle Colonie Penali Agricole, istituite per ricevere principalmente condannati ai lavori forzati. Sempre nello stesso anno, per sfuggire alla diffusione del colera, vi venne costruito un lazzaretto (“Stazione Sanitaria Marittima quarantenaria”). Durante la Prima guerra mondiale, fu invece adibita a campo di concentramento per decine di migliaia di militari austro-ungarici, mentre a seguito della guerra d’Etiopia, nel 1937, vi furono deportate diverse centinaia di soldati etiopi e tra di essi anche la figlia dell’imperatore Haile Selassie. Nel corso della Seconda guerra mondiale l’edificio venne utilizzato come tubercolosario e solo nel 1960 iniziò a svolgere la funzione che meglio conosciamo di carcere.
La vera e propria svolta arrivò negli anni Settanta, quando l’isola iniziò a ospitare alcuni tra i più temibili galeotti del nostro Paese. Tutto ebbe inizio con lo sbarco dei primi trentatré presunti mafiosi e con l’emissione di un nuovo ordinamento carcerario che, per salvaguardare motivi di ordine e sicurezza, stabiliva un trattamento speciale per i detenuti di particolare pericolosità: in queste circostanze venne compreso come l’istituto più adatto a rispondere a tale necessità fosse quello dell’Asinara.
Il supercarcere sardo infatti, negli Anni di Piombo, annoverava tra i suoi ospiti Alberto Franceschini e Renato Curcio, due fondatori delle Brigate Rosse. Con il loro arrivo, si intensificarono le proteste contro il regime carcerario, già iniziate dai boss della mafia qualche anno prima. I detenuti erano infatti costretti all’isolamento perenne e a celle piccolissime, ben poco tollerate dai rivoltosi, che avevano l’obiettivo di devastare gli edifici e di chiedere il trasferimento in altri istituti. Con questo intento scoppiarono infatti atti di guerriglia, accompagnati da lacrimogeni e esplosivi, tanto violenti da portare la prigione stessa a rinforzare la propria struttura con ulteriori misure di sicurezza.
Il penitenziario, forte della sua invalicabilità, divenne rifugio sicuro nell’estate del 1985 per Paolo Borsellino e Giovanni Falcone in isolamento sull’isola durante la preparazione del Maxiprocesso di Palermo, il più grande procedimento giudiziario della storia italiana.
L’isola, dal 1997 è diventata un parco naturale e l’ex carcere, ormai in disuso da anni, si prepara a diventare un albergo diffuso. Quello del “turismo in galera” è un trend già diffuso in altre realtà nel mondo che ricalca il concetto di eterotropia e la sua originale ricerca di soluzioni alternative di recupero architettonico.
Con l’idea, infatti, di riqualificare e riutilizzare il patrimonio immobiliare esistente, l’Ente Parco, insieme con Regione Sardegna e comune di Porto Torres, ha in mente di realizzare tra Fornelli e Cala d’Oliva i primi trentotto alloggi dell’ex diramazione carceraria fino al recupero di tutto il borgo, attraverso una chiesa, una piazza, un cinema e piccole botteghe.
L’obiettivo è quello di rendere l’Asinara un’attrazione tutta da esplorare, nel rispetto di un modello sostenibile certificato CETS (Carta Europea per il Turismo Sostenibile) per lo sviluppo turistico e ambientale delle aree protette europee. Per il progetto sono stati stanziati 800 mila euro, che serviranno a finanziare i lavori al carcere di Fornelli, esteso su una superficie di circa 8.000 mq e negli edifici più recenti, tutti con il potenziale per trasformarsi in alloggi funzionali e confortevoli, che rispecchiano lo stile e l’architettura originaria del luogo, e garantiscono una vista mare mozzafiato.
In aggiunta a tale disegno edilizio, sempre in ottica di valorizzazione del territorio del parco nazionale, si affianca il progetto “Icara – le isole in rete”, volto a realizzare una collaborazione con altri due importanti ex penitenziari di fama mondiale. Con questa iniziativa si vuole creare interesse verso la storia carceraria dell’Asinara, terra che ha seguito le vicende di boss della criminalità e brigatisti, parallelamente alla storia delle carceri di massima sicurezza di Alcatraz al largo di San Francisco, California, e di Robben Island, poco distante da Città del Capo, Sud Africa. Pare infatti vi siano delle analogie tra le carceri (come, per esempio, il fatto di essere collocate su delle isole), tant’è che si vorrebbe creare un network tra le tre istituzioni, una sorta di rete museale che incuriosisca, attraverso le memorie delle ex colonie penali, visitatori da ogni parte del globo.
La vera essenza dell’isola, nascosta per anni agli occhi dei rinchiusi, si può apprezzare finalmente dal vivo, e non solo tramite qualche scorcio di cielo o spiraglio di luce che attraversa le sbarre. Al di là dei casermoni, le bellezze inestimabili dell’Asinara meritano senza dubbio l’attenzione dei turisti, che visiteranno questo angolo da sogno con una consapevolezza storica di ciò che è stata, un tempo, una parentesi dolorosa della storia d’Italia.
Veronica Todaro