Nell’area più antica di Roma sono state posizionate alcune arnie con l’obiettivo di sostenere l’apicoltura urbana
Là dove vivevano Romolo e Augusto adesso abitano migliaia di api che, tra le altre cose, producono anche un ottimo miele. Sul colle Palatino, che ospitò il primo nucleo di Roma e anche i maestosi palazzi degli imperatori, sono state da poco posizionate alcune arnie da cui è possibile ricavare il Miele Ambrosia del Palatino. E tutto questo nell’ambito del progetto GRABees, una iniziativa a sostegno dell’apicoltura urbana della capitale al quale ha aderito il Parco archeologico del Colosseo, che comprende anche il foro e il Palatino.
Per il posizionamento delle arnie, gli esperti si sono lasciati guidare direttamente dalle fonti storiche. «Varrone, Columella, Plinio e, seppur all’interno del contesto poetico, Virgilio, illustrano, concordemente, un identico paesaggio ideale per l’allevamento delle api: sono prescritti luoghi ampi, asciutti e ventilati, ed è bene che le arnie siano collocate in zone isolate, lontane da altri animali e dall’uomo; che ci siano abbondanti piante bottinabili e disponibilità d’acqua nelle immediate vicinanze» si legge sul sito del Parco archeologico del Colosseo. Di conseguenza, le arnie sono state posizionate ai piedi delle capanne romulee, nell’area più antica di Roma, in un luogo tranquillo e ricco di vegetazione mediterranea. «Questo ha facilitato l’ambientamento delle api e la riuscita del progetto; è stato possibile avere una produzione di buona quantità e di notevole pregio – spiegano ancora dal Parco del Colosseo -. Il miele, fin dalle antichità, è bene prezioso per le sue proprietà dolciarie, medicali e cosmetiche, tanto che assunse anche un valore simbolico e divino: l’ambrosia cibo dell’immortalità. È importante sottolineare quanto l’apicoltura sia importante anche per le problematiche climatiche moderne. Le api, infatti, sono preziosi insetti impollinatori, capaci di implementare la vegetazione, ma oggi a rischio di estinzione a causa della perdita della biodiversità, degli habitat naturali e dei cambiamenti climatici».
Dario Budroni