Fino al 15 giugno, il MAN – Museo d’Arte della Provincia di Nuoro – ospita Il silenzio è così accurato, personale dell’artista Gregorio Botta, a cura di Chiara Gatti ed Elisabetta Masala, con un testo critico di Davide Ferri. La mostra prende il titolo da una celebre frase di Mark Rothko, pittore dell’invisibile, ed è un invito a spostare l’ascolto dal rumore del mondo alle vibrazioni sottili dell’interiorità. Un’occasione unica per entrare nel laboratorio poetico di uno dei maestri italiani della sottrazione.
Napoletano, classe 1953, Gregorio Botta si muove da anni su un crinale dove materia e immateriale, visibile e invisibile, si sfiorano senza mai del tutto coincidere. Le sue opere non impongono, non narrano, non occupano lo spazio con prepotenza: al contrario, lo abitano con discrezione, lo misurano con la luce, lo dilatano con il tempo dell’attesa. In questa nuova esposizione, concepita appositamente per il MAN, Botta porta avanti una riflessione radicale sull’equilibrio, sulla fragilità, sul silenzio come linguaggio.
L’acqua, il fuoco, la cera, il vetro, il piombo: questi sono i suoi materiali primari, trattati non come strumenti, ma come presenze. I materiali raccontano storie antiche, primordiali, eppure sono chiamati a disegnare geometrie purissime, installazioni minimali che evocano il sacro, l’eco della memoria, la soglia tra il mondo tangibile e ciò che lo oltrepassa. Non a caso, in mostra tornano i rivoli d’acqua, le gocce sospese, le superfici cerate, i pentagrammi tracciati nello spazio come mappe per orientarsi nel vuoto.
Le opere si dispongono come in una partitura: alcune sembrano macchine impossibili, celibi, che producono movimenti inutili, vapori o suoni lievi. Altre si presentano come nature morte trasfigurate, o come reliquie di un tempo senza tempo. In Il peso del fumo, che dà il titolo alla mostra, la materia pare evaporare, lasciando tracce, residui, fantasmi. Nella serie Pompei, l’impronta è ciò che resta di una presenza: la vita congelata, come nella città antica travolta dalla lava. Tra i lavori più evocativi si ritrovano anche i cicli degli Orizzonti, dove la cera fusa suggerisce un paesaggio morandiano che si dilata su piani infiniti. Linee e volumi si distendono come meditazioni sul limite: fra ciò che si mostra e ciò che si cela, fra corpo e spirito, fra permanenza e sparizione. Tutto è equilibrio precario, tensione trattenuta, misura del tempo.
La mostra è anche un viaggio nella poetica matura di un artista che, fin dai primi anni Ottanta, si è fatto notare per una pratica meditativa e raffinata, a partire dalle prime esposizioni romane fino a importanti tappe internazionali: dalla Triennale di Milano al MACRO, dal Forte di Bard al Museo di Santiago del Cile, passando per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e le collaborazioni con Sergio Rubini per scenografie teatrali. Scrittore e saggista, Botta ha pubblicato volumi dedicati a Rothko e Paul Klee, due artisti che – come lui – hanno cercato un linguaggio fatto di respiro, silenzio e rigore. In questa mostra a Nuoro, ogni installazione sembra raccogliere l’insegnamento di entrambi: un’arte che si ritrae per lasciare spazio all’invisibile, che non grida ma invita, non espone ma suggerisce. Il MAN conferma così il suo ruolo come centro vitale della ricerca contemporanea in Sardegna, proponendo una mostra di grande intensità visiva ed emotiva. Il silenzio è così accurato non è solo un titolo, ma un’esperienza sensoriale e spirituale: un tempo sospeso, una lentezza necessaria, un gesto che si fa pensiero. Chi entrerà nelle sale del museo fino al 15 giugno potrà incontrare, nella rarefazione della forma, qualcosa che somiglia al mistero stesso dell’esistenza.
Davide Mosca
