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Il vermouth di Torino è soltanto di Torino

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22/11/2019

La Commissione europea ha detto sì: alla città piemontese è stata riconosciuta la paternità del famoso vino aromatizzato

Il vermouth è di Torino. Lo dice la storia e adesso anche la Commissione europea. Alla città piemontese è stata ufficialmente riconosciuta la paternità del famoso vino aromatizzato di origine settecentesca. L’Europa ha appena terminato la valutazione del fascicolo tecnico relativo all’Indicazione geografica. Tra pochi mesi, subito dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, il disciplinare storico del vermouth di Torino potrà finalmente essere applicato.

Per Torino e i produttori di vermouth, dopo un iter durato venti lunghi anni, si tratta di una gran bella notizia. Finalmente quello che è uno dei simboli indiscussi della città potrà godere di un pieno riconoscimento. Nel 2017 era stato anche fondato l’Istituto del vermouth di Torino, che riunisce diciotto produttori, il cui disciplinare era stato approvato dal Ministero dell’Agricoltura su richiesta della Regione Piemonte. L’obiettivo del percorso di riconoscimento è naturalmente quello di tutelare la qualità, la storia, l’origine e l’intero processo di produzione e anche quello di differenziare il vermouth torinese da tutti gli altri vini aromatizzati.

Il vermouth, che non è né un liquore né un amaro, è nato a Torino negli ultimi anni del Settecento. Pian piano il vino aromatizzato con artemisia è riuscito ad affermarsi in particolare negli ambienti aristocratici dell’epoca, a cominciare da Casa Savoia. Il boom nell’Ottocento, quando il vermouth si è fatto apprezzare anche al di là dei confini cittadini. Il prodotto torinese si beve soprattutto come aperitivo e può essere utilizzato anche per la composizione di numerosi cocktail, tra cui il Martini, il Manhattan, il Negroni e l’Americano. Sempre di moda, negli ultimi anni l’affascinante mondo che ruota attorno al vermouth è diventato il protagonista di un nuovo boom incentivato soprattutto dalla riscoperta dei sapori legati ai territori e dall’attenzione sempre più crescente nei confronti delle piccole produzioni.

 

Dario Budroni

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