La Triennale di Milano ospita l’omaggio alla vita dell’architetto designer fino al 13 ottobre

Fissare la malinconia. Esserci una volta. Non risolvere nulla. Guardare l’osceno. Aspettare dopo. Non fare accadere. Essere prigioniero. Creare per smentire. Trovarsi a disagio. Arretrare verso il vuoto. Perdere la memoria. Affiancare l’angelo. Lasciare fare. Ricordare quando. Riempire l’intervallo. Ripetere le azioni. Accorciare il segmento. Durare un poco. Andare ovunque. Rinunciare a dire. Pensare per caso. Essere infedele. Non aggredire. Avere contatto. Scomparire apparendo. Aprire la porta. Dormire e dormire. Queste le Frasi all’Infinito di Alessandro Mendini, dichiarate nella raccolta di scritti La Poltrona di Proust (pubblicata da Nottetempo, collana Saggi). La Triennale di Milano ospita orgogliosa l’omaggio alla vita di Alessandro Mendini Io sono un drago. La vera storia di Alessandro Mendini, realizzata in collaborazione alla Fondation Cartier pour l’art contemporain, impegna passione ed esperienza nel racconto dell’architetto, designer, artista e teorico Milanese.
Dal 13 aprile al 13 ottobre l’Archivio Alessandro Mendini, custodito fedelmente dalle figlie Fulvia e Elisa Mendini, sarà diamante grezzo del Palazzo dell’Arte. Un omaggio, certamente, a una delle personalità più rappresentative della cultura del XX e XXI secolo più che solamente dell’arte, dell’architettura, di cui questo libro (il catalogo della mostra, ndr) ripercorre le esperienze dagli esordi nei turbolenti anni Sessanta, all’euforia degli anni Ottanta, al pan-estetismo di massa del nuovo millennio. Ma anche un’esplorazione a cuore aperto dei tanti aspetti di una psicologia complessa e ritrosa, a dispetto dell’aura irridente e talvolta glamour che ne ha circonfuso negli ultimi anni la sua immagine pubblica di irriverente giocoliere; precisa con fervore Fulvio Irace, curatore dell’esposizione.
La proiezione del film Io sono un drago, per la regia di Francesca Molteni, si ripete dall’apertura alla chiusura. Di me resterà la Poltrona di Proust: Sandro, come amava farsi chiamare, con questa celebre affermazione dice la sua. Il progetto si snoda in una promenade teatrale, che delinea il presunto Cubo dell’architettura di Muzio. L’allestimento, infatti, è dovuto a Pierre Charpin, il designer che cooperò con Mendini in quattrocento differenti circostanze, concretizzando la teoria del frammento come una materia caratterizzata da forme, colori e i più disparati significati che si congiungono nel concetto ultimo di fissare la malinconia.
Io sono un drago è un disegno spontaneo dal quale prende vita la mostra rievocando perfettamente l’idea dell’efficiente, seppur inflessibile, segmentismo. Per l’artista il concetto di pezzetto per pezzetto. L’architetto realizzò lo schizzo nel 2006, sintetizzando la critica percezione della sua sfaccettata personalità in una creatura fantastica dalla testa da designer e i piedi d’artista. Le gambe da grafico e le mani da artigiano. Il corpo da architetto terminante in una coda da poeta. Un definito petto da manager confinante con un morbido ventre di prete. L’intrigante agglomerato risulta/sfocia in un animale mitologico multiforme. Del tutto estraneo alle credenze medievali, esamina una leggenda vivente, un essere dotato di una tale moltitudine di talenti al punto tale da risultare improbabile agli occhi del (concordato) giudizio della convenzione. La poliedrica personalità prende forma con il percorso espositivo ad essa ispirato, ospitando oltre 400 lavori di materiali, formati e soggetti differenti, riesumati da collezioni pubbliche e private. La geniale esposizione dà vita a un emblematico autoritratto di Alessandro Mendini, ponendo in primo piano la complessità del suo animo differenziatosi nella vasta cornice culturale del nostro tempo. Una variopinta opera praticabile volta a restituire l’empatia della sua individualità nei confronti dell’oggettistica quotidiana, portato impulsivamente a trasformare il banale in una sorpresa rivelatrice. Il percorso espositivo si articola in sei nuclei tematici: Identikit, rivelatore primo della sua singolare indole. Qui avviene la vivisezione del corpo fisico mediante il disegno. È infatti esposta la colorata serie di autoritratti realizzati nel corso della vita. La sindrome di Gulliver, ove si viene sommersi da architetture che sfidano e confondono le consuetudinarie unità di misura. Una sequenza di oggetti fuori scala, che si alternano dall’extralarge – la Poltrona di Proust e la Petite Cathédrale – alle riduzioni di formato di taluni pezzi d’arte commissionati da Alessi. Architetture, l’eredità dell’Atelier Mendini condotto insieme al fratello nella quale spiccano progetti architettonici quali le tre stazioni della metropolitana di Napoli e il Groninger Museum di Hannover. Fragilismi, il quale vive del manifesto che il designer realizzò nel 2002 per la personale alla Fondation Cartier. Un vero e proprio atlante spirituale indagatore della fragilità umana. Il fulcro dell’indagine che ha portato al manifesto del fragilismo, un elogio alla fragilità in un mondo vittima di guerre e violenza. A seguire, Stanze. Qui vengono presentate tre delle camere progettate da Mendini: la Stanza del secolo, Stanza banale, Stanza filosofica, Stanza da manuale, la Chambre à souvenir e Le mie prigioni. L’itinerario nell’arte mendiniana termina con Radical Melancholy. Valigia per ultimo viaggio, è esposta come emblema del sofferto testamento di un Mendini mesto e malinconico, e con la Poltrona Proust il kitsch si redime nel sublime. Sarà l’architetto e designer Philippe Starck ad adornare l’effigie dell’amato artista italiano. What? A homage to Alessandro Mendini – porterà onore al rispetto e ammirazione che Mendini conservava nei confronti di Starck: Sugli oggetti di Starck, come sul regno di Re Sole, non deve mai tramontare il sole; precisa Mendini. Per me la mostra ideale assomiglia a quei piccoli tavoli aperti in gran fretta agli angoli di strada per giocare d’azzardo: quando arrivano i carabinieri, si chiude tutto d’un colpo, la piccola folla si dilegua fischiettando e guardando indifferentemente il cielo, dei responsabili nessuna traccia, scrive il creativo francese. Io sono un drago non può essere così disegnato, poiché trattasi della storia
di Alessandro Mendini, una sfida segnata da un connubio tra vividi eventi e contrarietà.
Sibilla Panfili

Foto: ufficio stampa e wikipedia

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