Quattro splendidi dipinti indiani esposti per la prima volta al Museo d’Arte Orientale di Torino
“Da quando il sorriso suo è penetrato nel mio cuore, invano ho cercato di estrarlo, allorquando l’immagine sua, con gli orecchini dondolanti sulle guance, apparve dal boschetto; compagno mio, fu allora che abbandonai il sentiero per dar diletto a Lui che dimora nella foresta. Raskhan confessa: il suo sorriso mi ha catturato, poco m’importa del pensiero per il mondo! “ – Sayyid Ibrahim Khan ‘Raskhan’ (1534-1619)
Questo è uno dei componimenti poetici che accompagnano gli splendidi dipinti di tradizione picchavai in mostra per la prima volta al MAO, il Museo d’Arte Orientale di Torino. Si tratta di quattro straordinarie tele che fanno parte della corrente devozionale della bhakti e che narrano episodi della vita di Krishna, la divinità dei giochi amorosi, della protezione dalle influenze negative, ottavo avatara e incarnazione terrena del dio Vishnu.
Krishna, è il nero, l’oscuro, il blu. Secondo i testi sacri il suo corpo assunse questa colorazione perché nato dal concepimento di un capello nero o per il latte avvelenato da una demonessa. Divinità fra le più venerate in India, si narra che Krishna abitasse le campagne: due dei dipinti in mostra lo ritraggono mentre si diletta nei boschi di Vrindavan in giochi amorosi con giovani mandriane, le gopi, immersi in un mondo soprannaturale dove la bellezza, l’ispirazione e la divinità giocano un ruolo fondamentale. Secondo un’interpretazione simbolica le anime umane sono viste come “amanti” passionali del dio “amato”, rapite estaticamente in una danza amorosa con la divinità, come le gopi con Krishna. Questi dipinti del XVII e del XIX secolo sono accompagnati da versi che si rifanno alla tradizione letteraria hindu ed evocano il clima culturale all’interno del quale i dipinti sono stati realizzati, offrendo una chiave di lettura evocativa del ruolo della divinità.
I dipinti dedicati a Krishna
Come raccontato nel testo sacro del Mahābhārata, la fede riservata a Krishna aveva una funzione fisica ed erotica. I dipinti, di grande espressività artistica, ritraggono la vita terrena del dio Krishna in una serie di contesti diversi, che variano nel corso dell’anno in base al calendario delle festività a lui dedicate. I picchavai a fondo blu o rosso sono spesso impreziositi da foglie d’oro, e possono contenere elementi architettonici, padiglioni lobati, balaustre e lampade elaborate tipiche della corrente artistica.
In uno dei dipinti, Krishna è ritratto in un boschetto di banani mentre è assorto nei giochi amorosi con due giovani gopi, al riparo di una pianta di mango. La divinità suona un flauto mentre una delle fanciulle gli porge dei fagottini di betel. Cadono sui tre splendide foglie argentate, evocazione della stagione delle piogge, in cui Krishna è nato.
Nel dipinto più piccolo, l’unico senza Krishna, nove gopi danzano e suonano in un padiglione dorato dove sbocciano fiori di loto. Una fanciulla tiene in mano un pappagallo rosso, simbolo di passione, in una rappresentazione estatica della dedizione alla divinità. In un altro dipinto, Krishna abbraccia Radha, la prediletta, in un momento di totale abbandono ai sensi e di amore contraccambiato, sottolineato dalle dita intrecciate dei due amanti vestiti riccamente e coperti di gioielli. Le altre fanciulle osservano e partecipano all’attimo cristallizzato nella perfezione. Krishna è vestito come principe, indossa un turbante adornato da piume d’uccello, e tipica della scuola di Kishangar è la rappresentazione dei volti dei soggetti: naso lungo e sottile, mento aguzzo, sopracciglia arcuate e gli occhi allungati dal trucco. Un ultimo dipinto ritrae Krishna bambino all’età di 7 anni, vestito in abiti mughal e adorato come Madana Mohanji presso il tempio di Karauli, sotto un soffitto da cui pendono raffinati lampadari.
Lo spettatore viene stimolato a immergersi nella composizione artistica, condividendone il senso più profondo, il rasa, (“succo, essenza, gusto”) grazie anche alle poesie che invitano a un pieno godimento estetico. Fra i versi che accompagnano i dipinti, il più antico risale al Bhagavad-gita, uno dei testi sacri della tradizione hindu e di fondamentale importanza nel contesto delle correnti devozionali krishnaite, risalenti al II secolo a.C., celebrando la maestosità universale del Beato, epiteto attribuito a Krishna.
Ne derivano tavole di unica e spettacolare bellezza, che evidenziano un ambiente culturale e religioso aperto a nuove forme espressive, descrivendo una società in cui musulmani e indù, uomini e donne, attraverso l’arte, concorrono all’evoluzione della società indiana dell’epoca.
Nathalie Anne Dodd
Foto 1: Adorazione di Madana Mohanji presso il tempio di Karauli, India, Rajasthan, XVII-XVIII secolo d.C.. Tempera e foglia d’oro su cotone
2. Krishna, Radha e le gopi, India, Rajasthan, XVIII secolo d.C. Stile pahari, scuola di Kishangarh. Tempera su cotone
3. Krishna suona il flauto omaggiato da due gopi. India, Rajasthan, XVIII secolo d.C. Tempera e foglia d’oro su cotone. Il dipinto presenta un albero di mango al centro, alberi di kadamba ai lati e piante di banano in primo piano.
4. Gopi in attesa. India, Rajasthan, XVIII-XIX secolo d.C. Tempera e foglia d’oro su cotone