Lino Fois e le sue splendide collezioni
Allestita al Temporary Storing di Cagliari, la mostra riunisce le sue opere più rappresentative caratterizzate dal suo tratto poetico
È difficile immaginare lo stupore di Maria Elvira Ciusa quando entrò per la prima volta in contatto con il talento di Lino Fois, protagonista con le sue “collezioni” al Temporary Storing di Cagliari. Voleva conoscere il suo stile, la sua verve creativa. Davanti a sé si trovò invece un mondo indecifrabile ma allo stesso tempo ricco di fascino. «Quando varcai la soglia che immetteva in tre ampi stanzoni dell’atelier c’era di tutto. Non sapevi se pensare a un deposito di un rigattiere anonimo- ma molto interessato all’accumulo -, oppure ad una mente geniale che in quel luogo così stipato di oggetti, trovava la sua dimensione onirica. Nel corso della conversazione optai per la seconda ipotesi, meravigliandomi di come riuscivo ad ambientarmi in quello spazio a dir poco bizzarro».
Lino Fois, nato nel 1959 a Sant’Antioco, dopo la Laurea al D.A.M.S. all’Università di Bologna con una tesi in Estetica dal titolo Teorie e poetiche dell’off camera fotografico, si è trasferito a Quartu Sant’Elena dove si è messo a esplorare nel mondo delle arti visive. Dopo aver preso le distanze da una realtà quotidiana comincia il suo viaggio che lo porta fino a confini della fantasia. Un immaginario spesso lontano dalla nostra routine ma dove lui assume il ruolo «di un appassionato giocoliere, alla ricerca di un mondo perduto fatto di nostalgia, di giochi di parole, di tempi lunghi, di nonsense e dà voce al suo magma poetico», afferma la curatrice della mostra. Tra le sue ispirazioni c’è senza dubbio l’attenzione all’opere letterarie come quelle del noto scrittore Italo Calvino.
«Arte e letteratura – conclude Ciusa – nei suoi lavori vivono un connubio perfetto. La poesia degli impercettibili gesti regna sovrana a ricordarci che il mondo è scritto a caratteri apparentemente indecifrabili, illeggibili come la scrittura che spesso appare nelle sue opere, quasi a commento di un racconto lieve, ma profondamente significativo. Il suo alfabeto irriconoscibile diventa espressione di un flusso di coscienza sempre vigile a registrare i moti dell’anima, che si nutre di poesia e che sa che questa è impalpabile, ma necessaria per il nostro vivere».
Riccardo Lo Re