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London calling

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08/07/2019

Guardare la Sardegna con uno sguardo rivolto alla Gran Bretagna, imparando a guadagnare fiducia non solo in noi stessi ma in una crescita di valore.

Sardegna e Gran Bretagna, lontane eppure vicine… mettiamole nuovamente a confronto per capire che, della lunga storia tra resilienza e inventiva che inglesi e sardi hanno dimostrato in tempi turbolenti, dovremmo forse far tesoro.

È il 2012 e alla cerimonia d’apertura dei giochi olimpici c’è una Londra che dà prova della sua statura guadagnandosi, per voce dei più famosi commentatori internazionali, il titolo di città del futuro. Aleggia un’aura di modernità nella capitale, Londra è diversa e globale eppure, guardandola da qui oggi, ci si domanda se le Olimpiadi possano avere mancato in pieno l’obiettivo di scandire una nuova era o di facilitarne un nuovo inizio e, alla luce dei fatti ben 4 anni dopo si voterà per la Brexit, saranno in molti nel Regno Unito ad interpretare questo voto una vera e propria forma di dissenso non solo verso l’Unione Europea ma verso Londra.

Più del 40 % della popolazione residente a Londra era nata all’estero e il voto per la Brexit è stato visto più come dettato da un desiderio di controllare l’immigrazione. Più in generale, in piena espansione, la cosmopolita Londra è sempre sembrata essere fuori sincrono e in disaccordo con gran parte del resto della Gran Bretagna. Londra vota per restare in Europa ma è il resto dell’isola a vincere, l’intero paese la mette in minoranza. Da un giorno all’altro e nel cuore della notte.

A ben vedere la storiografia della Sardegna tratteggia una mappa fitta di immigrazioni che dalla preistoria ad oggi fanno la fibra di un popolo pronto al cambiamento ma nello stesso tempo fedele al proprio nucleo, un popolo che solo negli ultimi anni conta ben 54 mila immigrati che producono un valore aggiunto di un miliardo e le cui imprese sono destinate a decollare.

Il denaro che i lavoratori extracomunitari riescono a spedire dall’Italia ai loro paesi di origine, prevalentemente Europa, Asia e Africa, mette la Sardegna al quarto posto tra le regioni italiane in grado di esportare soldi come contro valore del lavoro. Infatti quasi il 50% della popolazione straniera residente nell’Isola ha un’occupazione producendo quel miliardo di valore aggiunto in 26 mila persone, pari al 3,2% del totale regionale. E’ questo ad emergere dal rapporto sull’economia dell’immigrazione curato dalla fondazione Moressa per la casa editrice Il Mulino.

Considerando la realtà di un paese che invecchia dove sono complessivamente 11 mila gli imprenditori stranieri, il 5,9% del totale di quelli che operano nell’Isola, il dato che spicca è che le imprese gestite da immigrati sono in crescita (+9,6%) negli ultimi cinque anni a fronte della diminuzione di quelle condotte da sardi (-5,2). I contribuenti nati all’estero rappresentano il 3,6% del totale e hanno versato un Irpef netta per 29 milioni di euro.

Di contro ciò che accade oltre Manica è che l’impatto della Brexit sarebbe dovuto dipendere dalle negoziazioni e dalle complesse interpretazioni condotte dal mondo delle banche e che invece ha fatto si che molti europei a Londra si sentissero insicuri rispetto al loro futuro. Scende la notte della caduta del valore della sterlina, dato questo che ha reso meno interessante il lavoro nel Regno Unito e, se l’immigrazione dall’Europa diventa significativamente più difficile dopo la Brexit,  è chiaro che l’attuale storiografia non potrà che prender nota di una diffusa sofferenza nei servizi e nelle competenze economiche della Grande Isola.

Diminuisce la popolazione in età lavorativa e l’immigrazione è in grado di rallentare questo processo. Gli abitanti delle isole come Gran Bretagna e Sardegna sembrano averlo saputo da sempre per quel loro controverso modo di riflettere su dati oggettivi che, se da una parte aiuta a capire il fenomeno migratorio liberando il campo da vecchie architetture mentali, dall’altra è il segno di un allenamento e di una pratica agiti sulla storia di un territorio insediato e al contempo protetto dal mare. Un luogo che si lascia lambire come un’isola inerme ma che chiede, per quella sua natura potente, di non essere sottovalutato.

Mai, soprattutto quando al buio coincide il cuore della notte.

Anna Maria Turra

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