L’esperimento Borexino rivela il motore che accende le stelle
Perché le stelle brillano? Attraverso gli occhi curiosi di un antico pastore errante dell’Asia, già due secoli fa il buon Leopardi rifletteva sulla condizione umana, in un malinconico vaneggiamento esistenziale al cospetto di un cielo stellato: “Quando miro in ciel arder le stelle; dico fra me pensando: a che tante facelle?… ed io che sono?”. Chissà se il poeta romantico si sarebbe mai immaginato che un giorno un gruppo di scienziati, con la medesima sete di conoscenza, per la prima volta avrebbe potuto fornirci una spiegazione completa del “perché tanto bagliore” nell’Universo.
È di pochi giorni fa infatti una notizia che ha fatto storia: nei laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare del Gran Sasso (INFN), è stato trovato “il motore che accende le stelle”. Sappiamo che le stelle, corpi caldi immersi in uno spazio freddo, emanano dal loro interno energia in misura elevatissima nel tentativo di riportarsi a un certo equilibrio termico rispetto all’ambiente circostante in cui sono ospitate. Il Sole, per esempio, a ogni secondo ne produce tanta da poter accendere trilioni di lampadine da 100 Watt, corrispondenti ad un milione di volte il consumo di energia degli Stati Uniti ogni anno. Anche se difficile a credersi, il Sole non è però la stella più brillante.
Grazie a Borexino, un progetto internazionale con leadership italiana, è stato svelato come le stelle con una massa maggiore rispetto a quella del Sole (le più numerose) brillino: questo è possibile grazie ai neutrini, particelle in grado di attraversare indisturbate la materia e che dal cuore del Sole hanno raggiunto il rilevatore altamente sensibile di questo esperimento. Il risultato di tale scoperta, pubblicato sull’importante rivista scientifica Nature, spiega come si produca energia da fusione nella maggior parte delle stelle dell’Universo e rappresenta la prima conferma sperimentale di come quelle più pesanti del Sole possano brillare.
L’inizio di questo percorso esplorativo risale a più di ottanta anni fa, quando si è scoperta la presenza del ciclo CNO (carbonio-azoto-ossigeno) in questa tipologia di astri. Proprio nel 1938 infatti, gli scienziati Hans Bethe e Carl Friederich von Weizsäcker teorizzarono che la fusione dell’idrogeno nelle stelle, oltre a rispettare la sequenza della catena protone-protone, potesse anche essere catalizzata dai nuclei di carbonio, azoto e ossigeno, in una sequenza ciclica di reazioni nucleari (ciclo CNO). L’unica incognita di quest’ultimo passaggio riguardava i meccanismi stessi di generazione dell’energia.
Borexino ha ripreso tale modello introducendo lo studio dei neutrini che, essendo particelle in qualche modo “sfuggenti”, non vengono assorbiti dal plasma solare e raggiungono la Terra, chiarendo alcuni aspetti relativi ai processi attivi nel nucleo del Sole. In particolare, nel 2017 grazie ai questi elementi si era arrivati a spiegare come la fusione nucleare fra protoni che avviene nel Sole produca il 99% della stessa energia solare. La risposta relativa all’1% restante, è stata finalmente fornita dall’esperimento: una minima percentuale dell’energia è generata da reazioni fra carbonio-azoto-ossigeno.
«Ora abbiamo finalmente la prima fondamentale conferma sperimentale di come brillino le stelle più pesanti del Sole», dichiara Gianpaolo Bellini, professore dell’Università di Milano e ricercatore INFN, da 22 anni padre fondatore di Borexino. «Questo è il culmine di trent’anni di lavoro – continua Bellini – e di oltre dieci anni di scoperte di Borexino nella fisica del Sole, dei neutrini e infine delle stelle». Se è vero che questa sensazionale scoperta non avrebbe comunque placato l’animo di Leopardi e i suoi dubbi esistenziali, certamente ci porta a comprendere sempre di più la complessità e la magnificenza del nostro Universo. Nell’attesa che la scienza ci illumini con nuove verità, continuiamo a contemplare questo immenso mosaico di luci e a specchiarci nell’infinito.
Veronica Todaro