Nel blu dipinto di blu
Perdersi nei vicoli di Chefchaouen.
Indaco, turchese, celeste, acquamarina. Ma anche zaffiro, pervinca e cobalto. L’azzurro di Chefchaouen non è uno ma le sue declinazioni sono tante quante la vostra immaginazione suggerisce.
All’inizio potrà sembrarvi di girare a vuoto addentrandovi nei labirintici vicoletti di questo piccolo gioiello incastonato ai piedi delle montagne del Rif. Un abbagliante azzurro vi introdurrà con tutta la sua freschezza e radiosità in una delle medine più preziose e fiabesche del Marocco. Qui le donne berbere che vengono dalle campagne vendono rigogliose verdure appena raccolte, e pani fragranti vengono sfornati dai forni pubblici presenti in ogni quartiere: resistere al loro profumo è un’impresa praticamente impossibile.
La medina, il cuore pulsante e più antico della città, è costellata di piccole, modeste ma dignitose case, spesso di un solo piano, con tegole a doppio spiovente, muretti e scale; molte sfoggiano massicce porte chiodate, utili punti di riferimento in un dedalo di viuzze, cortili e colori. Le case sono imbiancate con calce in cui è stato sciolto il pigmento azzurro – che assume le sfumature più incantevoli in base alla quantità e al gusto del padrone di casa – e ricopre tutto, anche i muri e spesso la pavimentazione. L’uso di questo colore risale all’epoca di fondazione della città, quando gli ebrei aggiunsero l’indaco alla calce delle loro case per distinguere la mellah, il quartiere ebraico recintato da mura, analogo a un ghetto europeo.
Diversi sono i punti di accesso alla città, noi abbiamo scelto la parte orientale perché un insistente ragazzino voleva mostrarci la città dal suo punto di vista – che ammetto essere stato convincente – partendo dalla cascata di Ras el-Ma, formata dallo uadi (il letto di un torrente) el-Khebir. È una visione da presepe: lo uadi diventa un laghetto in cui donne vigorose lavano i panni nei lavatoi, i bambini si tuffano nell’acqua fresca e oche selvatiche fanno il bagno sbocconcellando ciò che generosamente lanciano i passanti. Alle spalle di questa scena bucolica mulini ancora in funzione macinano la farina, per creare quei magnifici panini che profumano l’aria. Se arrivate verso sera, salite in cima a Ras el-Ma, potrete immergervi in un tramonto struggente.
Da qui potete iniziare l’ascesa all’aggraziata medina, girando senza meta alla scoperta di interni che spesso accolgono vasi di fiori, tappeti, cappelli di paglia, piccole terracotte e tajine, e oltrepassando archi a ferro di cavallo si sveleranno scorci suggestivi sulle montagne.
Ora potete iniziare a scendere fino alla piazza Uta el-Hammam, accanto a Bab el-Ain, (l’ingresso principale alla medina), vi troverete in un ampio slargo dal pavimento acciottolato, che deve il suo nome all’antica presenza di hammam. La piazza è affollata da ristoranti e caffè dove potete sedervi per ore a osservare la vita locale, sorseggiando un tè alla menta e deliziandovi con un kaab el-ghzal (corna di gazzella). Alle vostre spalle sorge la Kasba, una fortezza edificata nella seconda metà del XV secolo e dal cui nucleo si è sviluppata la medina. Nonostante sia stata sottoposta a radicali restauri non ha perso l’originale struttura a pianta rettangolare, rafforzata con bastioni e torri, ed è impreziosita da un giardino interno con alberi di arancio, bouganvillee e fiori sgargianti; qui ha anche sede il Museo etnografico. Un passaggio d’obbligo, ahimè veloce perché non si può accedere all’interno, è quello alla Grande moschea, che fu edificata nel XVI e in seguito rimaneggiata a più riprese; l’elemento più originale dell’edificio è il minareto a pianta ottagonale. Ma il cuore della vecchia Chefchaouen, quella che ferve di attività artigianali e di piccoli commerci è la Place el-Makhzen, la “piazza del governo”: una piacevole sosta fra le sue fresche fontane, i bazar e i laboratori artigianali di tappeti e tessuti, la rende uno dei posti più rilassanti della medina.
“Chaouen, una cittadina che si arrampica su una montagna a un centinaio di chilometri a est di Tangeri. Là comincia la strada del Rif. Per quanto la città sia cresciuta il centro è rimasto immutato: una piazza che è anche un mercato all’aperto, negozi, artigiani. Da lì partono delle viuzze che salgono verso pendenze labirintiche. Le case sono tinte in calce blu: sono piccole, disposte una sull’altra, nessun segno esteriore di ricchezza. Alcune strade e scale sono ripassate con la stessa calce!”… “La cosa che mi piace qui è l’eleganza della modestia: la gente è povera ma dignitosa, la città ha poche risorse, gli abitanti tessono indumenti di lana, coperte, jellàba e vendono la frutta e la verdura nei dintorni. Gli abitanti di Chaouen sono attaccati alla religione e poco inclini al fanatismo.” Così Tahar Ben Jalloun ama ricordare Chefchaouen (l’allora Chaouen) nel suo romanzo Marocco.
Chiedendo aiuto in una qualche lingua improvvisata a un anziano e gentile signore, scopriamo un autentico hammam, alimentato dall’acqua riscaldata a legna in un locale esterno, e ci concediamo un po’ di tempo per oziare in silenzio.
Giunta l’ora di cena, è il momento di curiosare fra le appetitose specialità locali. Spesso piccoli ristoranti accolgono gli ospiti nei cortili e nei giardini con un antipasto di olive, verdure e salsa piccante per poi raccontare le tante e saporite specialità locali. Gli ottimi tajine con pollo o montone e prugne sono il piatto più diffuso, cucinato a fuoco lento nell’omonima ciotola di terracotta con il coperchio conico. Può essere a base di verdura, carne o pesce, speziato o dolce.
E poi cous cous di carne o di verdure, semola di grano lavorata a mano e cotta al vapore con chicchi di uva passa e ceci, e l’immancabile harira, una zuppa a base di concentrato di pomodoro, farina, lenticchie, ceci e pezzetti di carne a cui si aggiunge succo di limone. Abbondante è l’uso di spezie e erbe: coriandolo, cumino, cannella, zafferano, fiori d’arancio, aglio, zenzero e basilico. Un altro piatto tipico è la pastilla, uno sformato di pasta sfoglia alle mandorle, ripieno di carne di piccione o di pollo, spolverato di zucchero e cannella. Il piatto della festa è il méchoui, l’agnello arrostito, e poi gli spiedini di montone o con polpette di carne trita alle spezie.
Se avete ancora spazio per un dolce oltre alle già citate kaab el-ghzal, ci sono le briouate al miele e mandorle, i profumati m’hanncha a forma di serpente arrotolato, le shebbakia, strisce di pasta fritte con miele caldo e semi di sesamo; imperdibile è la kefta, dolce a base di strisce sottili aromatizzate ai fiori d’arancio, disposte una sopra all’altra con mandorle tritate e bagnate con poco latte freddo.
Chefchaouen è una meta ideale se avete un paio di giorni a disposizione e se volete fare scatti indimenticabili, la fotogenia del luogo è indiscutibile, e cercare nuovi scorci o incrociare gli sguardi curiosi e antichi degli abitanti non vi farà pentire del lungo tragitto da Meknes o dalla più vicina Tangeri.
Nathalie Anne Dodd
Ph. Tiberio Frascari