Il sito archeologico è stato interessato da una importante campagna di scavo. Scoperta anche una capanna per la lavorazione di pelli e tessuti
Cinque mesi di duro lavoro, nella terra e al cospetto di pietre millenarie. Gli archeologi hanno appena concluso lo scavo del nuraghe Belveghile, a Olbia, un complesso di grande importanza ma dalla fine degli anni Ottanta nascosto sotto le travi di un viadotto della circonvallazione della città, costruita quando le norme di tutela e la sensibilità erano sicuramente differenti da quelle di oggi. I risultati sono piuttosto soddisfacenti. Al Belveghile è stata anche trovata una struttura unica nel suo genere. Terminate le operazioni di scavo, adesso si lavorerà con l’obiettivo di rendere fruibile il sito.
Lo scavo
Il Segretariato regionale del Ministero della Cultura per la Sardegna aveva destinato 300mila euro per la campagna di scavo, parte del finanziamento complessivo di 1 milione di euro per il progetto di valorizzazione finalizzato alla fruizione, per la cui realizzazione verrà indetto un concorso di idee internazionale. Lo scavo, che ha riguardato un’area di circa mille metri quadri di proprietà del Cipnes, il consorzio industriale, era cominciato in primavera ed è terminato a fine ottobre. L’operazione ha rivelato che il sito si estende ben al di là delle stime fatte finora e che presenta una grande varietà di soluzioni abitative. Attualmente si possono intravedere ben dodici strutture, sia di forma circolare che rettangolare, che mostrano una notevole diversificazione sia dal punto di vista architettonico che, presumibilmente, cronologico e culturale. Di queste, si è deciso di approfondire l’indagine e lo scavo stratigrafico della capanna adiacente al nuraghe per la sua particolarità. È infatti una capanna absidata lunga ben 17 metri, divisa in più vani e utilizzata per un lungo periodo di tempo per attività prevalentemente artigianali, verosimilmente legate alla lavorazione di pelli e tessuti. È la prima volta che questa tipologia viene ritrovata nel nord Sardegna. Infatti, il monumento è confrontabile solo con due capanne di dimensioni ridotte in zona di Nuoro, nel nuraghe di Tanca Manna. Qui sono stati recuperati più di 100 strumenti in pietra e terracotta di varie forme e grandezza: mortai, pestelli, lisciatoi in ceramica di estremo interesse scientifico e molteplici contenitori in ceramica, per lo più tegami, teglie e ciotole.
I protagonisti
I lavori di scavo, affidati con gara d’appalto alla ditta Venezia srl, che si è avvalsa di personale locale per la loro realizzazione, si sono svolti sotto la direzione scientifica dell’archeologo Francesco Carrera della Soprintendenza, coadiuvato sul campo dalla collega Paola Mancini. La responsabilità del procedimento era in capo al Segretariato regionale del Ministero della Cultura per la Sardegna nella persona di Massimo Casagrande. I progettisti sono Francesco Carrera e l’architetta Patrizia Tomassetti, mentre il coordinatore della sicurezza è l’ingegnere e architetto Andrea Fonnesu. Alla presentazione dei risultati dello scavo, che si è tenuta qualche giorno fa a Olbia, hanno partecipato anche Patricia Olivo, segretario regionale del Mic per la Sardegna, il soprintendente Bruno Billeci, il presidente del Cipnes Gianni Sarti e la restauratrice Alessandra Carrieri.