Dipinge quando ha l’ispirazione, quando ne sente il bisogno, con stile sobrio e risoluto, un passato che apre ai colori di un futuro sbalorditivo
Pittore di origini sarde, ideatore di mostre-laboratori ospitate nell’ex convento dei Cappuccini di Ploaghe, Salvatore Puggioni si racconta in uno stile sobrio e risoluto, dettagliando un passato che apre ai colori di un futuro sbalorditivo.
«Accanto a Maria Franca Vargiu, l’idea è stata naturalmente semplice: creare laboratori autoconclusivi sui temi più disparati, il paesaggio, le marine, i fiori o la silente natura. C’è moltissimo talento in giro. Basta guardare». E in due cicli che l’hanno visto impegnato sia a luglio sia a gennaio ha insegnato i dettagli della sua tecnica pittorica in una pratica senza disegno che agisce direttamente sulla tela.
Vive a Codrongianos nella provincia di Sassari, dipinge quando ha l’ispirazione, quando ne sente il bisogno e la cifra pittorica cambia a seconda dello stato d’animo. «Come Elio Pulli, di cui mi onoro dell’amicizia, che è ora ceramista, ora pittore o creatore di statue». Proviene dalla scuola di Padre Bonifacio, al secolo Lorenzo Salice che, dopo aver frequentato l’istituto d’arte di Parma e l’accademia delle belle arti a Bologna, fonda una scuola a San Pietro di Sorres, ne diviene il fidato collaboratore e, dalla frequentazione assidua e appassionata, nasce una grande intesa. Diversi quadri infatti verranno dipinti a quattro mani e riporteranno la doppia firma. «Non ero un semplice allievo del grande padre: credo che, siccome ci separavano molti anni, lui intendesse passare una competenza – spiega Salvatore Puggioni – e lo sapeva fare con straordinaria generosità; sono molto grato di questa apertura. Sospetto sia la leva che mi ha spinto all’idea dei miei laboratori. Oggi quella scuola è da poco chiusa ma nel chiostro si custodiscono le sorprendenti lunette da lui dipinte».
Classe 50, ex insegnante di materie letterarie è il figlio del famoso Pinuccio, il pittore e decoratore che ha lavorato a fianco di Jacques Couelle, l’architetto poi soprannominato dei miliardari perché col figlio Savin Couelle, Luigi Vietti e Michele Busiri Vici inventeranno lo stile della Costa Smeralda. «Con loro mio padre lavorava alle case del porto, -racconta Salvatore Puggioni – ero piccolo e lo guardavo interagire, erano gli anni Sessanta, io non toccavo ancora i pennelli ma osservavo il talento di quegli architetti; ascoltavo le loro spiegazioni in francese che mio padre era in grado di decifrare, in un’ intesa che andava oltre la lingua, dialoghi che somigliavano a frasi lasciate e metà così com’è ricorrente in certe espressioni sarde. Interpretava idee che per me erano misteriose e, in una collaborazione che dava forma ad opere mirabili, riuscivano ad arrivare dritto al gusto del committente. Sono passati ben oltre 60 anni e mi resta l’idea di non precisare, impressa nella mia pittura, non so in quale misura ma da quelle sospensioni sono rimasto condizionato».
Grande frequentatore di Elio Pulli, come lui si ispira al futurismo di Balla e Boccioni, con virate verso l’espressionismo; ritiene che esista una Sardegna esclusiva nel territorio di Libero Meledina, Pulli, Mario Gaspa e Costantino Spada e che proprio nell’area di Sassari le grandi ispirazioni prendano corpo arrivando a comunicazioni con il mondo. Adrea Barretta critico d’arte di Brescia, autore de L’arte, la bellezza e il suo contrario di lui dice: “Ci consegna sempre opere dalla forza straordinaria di pennellate che si raggrumano sulla tela come pura materia pittorica .. un suo stile contemporaneo nel metaformismo che miscela un vortice segnico.”
Silla Campanini, artista e autrice, lo conosce e gli presenta Alfredo Pasolino, il compianto critico d’arte che di Salvatore Puggioni afferma: “Le sue straordinarie composizioni hanno un solare sintetismo… invadono potenti e prepotenti lo spazio e tutti gli altri valori. Composto, rafforzato, pirotecnico e divertente, talvolta problematico, questo segno immagine, scrittura, gesto, testimonianza della vocazione libertaria per la gioia di vivere di sapore ariostesco, lascia intuire uno standard energetico dai mille colori a ‘la manier’ degli espressionisti astratti… negli arabeschi timbrici e visivi della sua ricerca, coloratissimi e funambolici”.
E, in quel gioco di forme come strumento di espressione, Giorgio Gregorio Grasso lo inserisce tra i 333 artisti del suo libro-raccolta sulla Divina Commedia, poi lo seleziona per un’esposizione a Venezia nella mostra La democrazia nell’arte.
Anna Maria Turra