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Slow Flowers, floricoltura a chilometro zero

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12/10/2020

Lo scopo? Godere di fiori coltivati ​​con pratiche agricole sostenibili, raccolti nella loro stagione di fioritura naturale, acquistati il ​​più vicino possibile e prodotti senza sostanze chimiche

A volte per cambiare il mondo basta andare poco più in là del proprio giardino. Sviluppatosi silenziosamente negli Stati Uniti, il movimento Slow Flowers si pone una semplice domanda: “Da dove vengono i fiori che compriamo?”. Capita infatti che le bellissime piante che adornano le nostre stanze o i nostri giardini siano state coltivate non vicino alla nostra città o territorio, ma lontano dal luogo in cui esse sono effettivamente vendute, questo per sopperire alla mancanza di fiori fuori stagione, spesso nascondendo pratiche di business inique nei confronti dei lavoratori del settore e inquinanti per l’ambiente.

Lo Slow Flowers Movement nasce così dalla visione di Debra Prinzing, scrittrice ed esperta di outdoor living americana che – sull’onda del movimento alimentare Slow Food – nel 2014 ha fondato il sito slowflower.com per poter aiutare i consumatori a trovare facilmente piante e fiori coltivati solo a livello locale. Privilegiando così la filiera corta stagionale e celebrando i fiori e le piante come atti d’amore della natura verso l’uomo (e viceversa), il movimento vuole rappresentare una rivoluzione nelle abitudini del consumatore attraverso un approccio artigianale e anti-mercato di massa, riconoscendo la coltivazione dei fiori come un ramo rilevante dell’agricoltura domestica. «Nella sua forma più semplice, lo Slow Flowers significa godere di fiori coltivati ​​con pratiche agricole sostenibili, raccolti nella loro stagione di fioritura naturale, acquistati il ​​più vicino possibile e prodotti da fioristi che utilizzano tecniche di coltivazione prive di sostanze chimiche» ha spiegato Debra. Ma slow è anche un invito a ripensare al nostro approccio alla frenetica vita contemporanea e riscoprire così il piacere di prendersi una pausa, attraverso la floricultura e la condivisione. E il successo dell’iniziativa, soprattutto tra i giovani, risiede tutto nella possibilità di esprimere e raccontare sé stessi attraverso le piante, la loro storia e la loro crescita, da seme a composizione floreale.

Dagli Stati Uniti all’Italia, lo Slow Flowers sembra sia destinato a crescere, soprattutto in questo periodo di pandemia. In tutto il mondo infatti, le industrie che fanno affidamento su catene di fornitura internazionali hanno subito interruzioni a causa del Covid-19, e il mercato dei fiori non ha fatto eccezione. Chissà che questa iniziativa non possa sensibilizzare l’opinione pubblica e aprire le porte a un’industria floreale consapevole e sostenibile. Dopotutto, per dirla come direbbe Emily Dickinson: “Essere un fiore è profonda responsabilità”.

 

Francesco di Nuzzo

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