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Spazio Ilisso ospita la mostra di Toni Schneiders

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23/01/2023

Esposti gli scatti realizzati in Sardegna dal celebre fotografo che incarna il prototipo del vincente inquieto, quasi sempre in viaggio

110 scatti fotografici realizzati in Sardegna dal fotografo tedesco Toni Schneiders nell’intero mese di aprile e nei primi giorni di maggio del 1956. Un reportage dell’Isola che Schneiders stesso descrive come “semplice, vero, chiaro”. L’esposizione a Nuoro, con inaugurazione sabato 28 gennaio nello Spazio Ilisso, aggiunge un tassello alla documentazione storica del territorio sardo prima del processo di globalizzazione.
Toni Schneiders parte con la propria vettura alla fine di marzo da Lindau, sul Lago di Costanza, passa per Livorno e Roma, giunge a Civitavecchia dove si imbarca per Olbia. Nell’esposizione, frutto di una selezione editoriale da un corpus molto più ampio che prende avvio proprio da Olbia, si prosegue con le immagini di Oliena per s’Incontru, rito del giorno di Pasqua di cui Schneiders documenta le varie fasi di svolgimento. Sempre a Oliena il fotografo ha dedicato una straordinaria quantità di scatti, fra i quali la spettacolare ripresa dall’alto del doppio cerchio del ballo tondo, presso la chiesa di San Lussorio. La vicina Orgosolo è ritratta la mattina di Pasquetta, poi ecco Nuoro e gli impressionanti arcaici interni abitativi a Isili, seguiti da Arte Archivi Museo NUORO di via Brofferio, ARTE CONDIVISA IN SARDEGNA. La mostra, fino al 30 aprile 2023, è in collaborazione con Fondazione F.C. Gundlach, Amburgo Catalogo: Ilisso Edizioni Testi in catalogo: Hans-Michael Koetzle TONI SCHNEIDERS Sardegna 1956. Il richiamo della luce, questo il titolo, prevede gli scatti su Sassari, Ittiri e le metafisiche vedute di San Pantaleo, Aggius, Castelsardo, luoghi sorprendenti che catturano il fotografo così come Alghero, Bosa e Cabras, dove è colpito dal villaggio dei pescatori. La visita alla mostra si chiude con la grande sfilata di Sant’Efisio a Cagliari. L’esposizione contempla però anche altre vedute, esiti di soste più brevi nella narrazione di questo reportage, fra le quali quelle di Orune, Bortigali, Borutta, Desulo, Belvì, Codrongianos, il Lago Omodeo, Barumini, Las Plassas.

Schneiders arriva in Sardegna nel periodo antecedente “la grande trasformazione” impressa dall’industria internazionale del turismo. Ed è come se il fotografo tedesco, muovendosi tra le solennità di una tradizione mai corrotta da spettacolarizzazioni, trovasse “la possibilità di lavorare in libertà”. Ne nasce una raccolta di scatti che confluirà in una pubblicazione che è insieme narrazione visiva dello specifico territorio: Sardinien – pubblicata nel 1958, a due anni dal viaggio, per i tipi della Fretz & Wasmuth (Zurigo-Stoccarda) – e che costituirà dal suo nascere un riferimento decisivo per i tedeschi. Le sue pubblicazioni, infatti, copiosamente illustrate, come quella dedicata alla Sardegna, affascinavano quanti erano costretti a rimanere a casa, diventando una specie di “viaggio tra le quattro mura” capace di dischiudere mondi più o meno distanti. Infatti Toni Schneiders rappresenta l’avanguardia di ciò che doveva ancora verificarsi nel segmento turistico. Con lui nasce l’embrione concettuale della guida di viaggio, con i suoi oltre 100 libri illustrati prendono infatti corpo veri e propri prodotti di interesse storico e culturale. Gli scatti in mostra, visti con gli occhi di oggi, appaiono come la sequenza di ricordi di un uomo in breve tempo sopraffatto dal fascino della Sardegna, tanto che già al suo terzo giorno scrive in una lettera alla moglie: «La Sardegna è più affascinante e bella di quanto potessi immaginare».

Toni Schneiders, nato nel 1920 a Urbar sul Reno, muore nel 2006 dopo aver contribuito in modo decisivo a plasmare il volto della “fotografia soggettiva”, quale importante membro del gruppo “fotoform”, prende parte alle mostre programmatiche (tre esposizioni di livello internazionale: 1951, 1954 e 1958), intervenendo su cataloghi e libri, rivestendo così, nella storia recente della fotografia, un ruolo di rappresentante significativo. Ciò che univa i cosiddetti “giovani arrabiati”, cioè Peter Keetman, Siegfried Lauterwasser, Otto Steinert, Wolfgang Reisewitz, Ludwig Windstoßer e, per l’appunto, Toni Schneiders, era innanzitutto il sentimento di una “gioventù derubata”. Tutti avevano fatto la guerra e diversi erano stati gravemente feriti. Accomunati da una spiccata affinità per il mezzo fotografico, associata alla manifesta intenzione di voler rinnovare il panorama della fotografia in Germania, che versava allora, a livello estetico-espressivo, in una situazione stagnante, con Toni Schneiders accade un linguaggio diretto: la “straight photography”. Si tratta di spaccati della natura, panorami densi di atmosfera, ritratti di persone o animali, oppure nature morte o scatti tratti dal mondo ferroviario, ispirati alla Neue Sachlichkeit, la Nuova Oggettività. Un’ottica che non lascia nulla al caso ma punta a realizzare immagini ben studiate, costruite in modo meditato, svincolate dalla contingenza temporale. Vi si intravedono inoltre strutture, forti contrasti, linee pulsanti, diagonali: tutti elementi di tensione del soggetto, anche se infine nulla ha poi l’effetto del costruito, del messo apposta, del voluto. Si percepisce invece l’artigiano, il fotografo esperto che trova l’immagine, non la inventa. Ciò non significa che Toni Schneiders non abbia intravisto il potenziale artistico del mezzo fotografico e non vi abbia attinto. Formidabile è il suo ricco repertorio, tanto più se guardato in un contesto legato ai viaggi, soprattutto verso destinazioni remote. Quello in Sardegna, nel 1956, costituisce il suo secondo soggiorno all’estero; nel 1955 era stato in Etiopia, nel 1958 si recherà a Creta. Seguiranno viaggi fotografici in Grecia (1961), Spagna (1963), Iugoslavia (1968) e Portogallo (1968). Presto, già nel 1961, su incarico della Japan Airlines visita l’Estremo Oriente, sfrutterà infatti l’occasione per raccogliere materiale fotografico per future pubblicazioni destinate a riviste e libri. Alla fine del decennio sarà in Malesia, a Singapore e a Bali in Indonesia. Nel frattempo viaggia in Francia, Olanda, Svezia, Norvegia, Danimarca, come pure più volte nella vicina Austria e in alcune località sul Lago di Costanza, un lunghissimo elenco quello dei suoi viaggi legati ai tanti progetti. Sono circa 130 i libri fotografici da lui pubblicati tra il 1950 e il 1985, principalmente volumi su città e territori. In questo modo Schneiders rappresenta il modello esemplare di un genere che si era venuto a creare tra le due guerre: una forma speciale di fotogiornalismo che avrebbe vissuto una seconda epoca d’oro negli anni Cinquanta e Sessanta, parallelamente, quindi, all’avvento del mezzo televisivo e al delinearsi del turismo di massa, quando “la fotografia di viaggio” si pone al servizio di riviste di grande tiratura e di case editrici specializzate. Schneiders incarna il prototipo del vincente inquieto e già nel 1961 la rivista Foto Prisma volle riservargli un ampio servizio dal titolo “Toni Schneiders, quasi sempre in viaggio”.

Schneiders è stato il fotografo della luce nel senso migliore del termine. Aria chiara, bel tempo, sole: queste erano per lui condizioni indispensabili per conferire al suo lavoro una nota costantemente ottimistica, pervasa da una raffinata plasticità dei paesaggi naturali, delle città e delle architetture. Toni Schneiders ha costruito tutte le sue immagini, nelle quali sono bandite sfocature, casualità, angolazioni troppo ardite: tutto viene descritto con precisione, con ponderazione e, sebbene ricercato nelle sue particolarità, niente viene mai affidato al caso. Poggiato con sapienza allo spirito di una “fotografia soggettiva”, alle qualità astraenti dell’immagine fotografica in bianco e nero, suggerisce strutture, geometrie mentre si imbatte nel rigore potente della pietra. La Sardegna, infatti, deve averlo affascinato per la sua geologia. Per i contemporanei Toni Schneiders ha rappresentato il “maestro della Leica” e in effetti il grosso delle sue foto è nato con questo strumento che, nel suo girovagare, non ha cessato di testare su incarico dell’azienda di Wetzlar, provando nuovi obiettivi a diverse distanze focali. Per l’obbligatoria fotografia di piccolo formato si accompagnava a una macchina di media grandezza che, in un primo momento, fu una Hasselblad 6×6, della quale però poco apprezzava il quadrato indeciso, motivo per cui sarebbe passato più tardi all’impiego di una Pentax, ovvero di una Mamiya 6×7. Inoltre Schneiders ha portato sempre con sé una Sinar 13×18, specifica per le fotografie a colori.
E se l’antropologo sardo Giulio Angioni sostiene che in Sardegna la modernità odierna si sia imposta in pochi decenni, collocate tra poesia e documento, di questo passato restano, fulgide, le immagini di Toni Schneiders.

Anna Maria Turra

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