Total Environment, la nuova vita delle mascherine
L’ambizioso studio di un gruppo di ricercatori australiani per il riutilizzo dei rifiuti prodotti durante la pandemia
Abbiamo imparato a conviverci per tutta l’emergenza Covid19, e per molti la mascherina è diventata quasi una seconda pelle. Ma la pandemia non ci ha solo costretto a fare i conti con una delle più drammatiche crisi sanitarie della storia recente. La sfida per il futuro è impedire che questa si trasformi anche in una crisi ambientale. Non è strano, infatti, che l’utilizzo di dispositivi sanitari per limitare la diffusione del virus sia aumentato esponenzialmente nel corso dell’anno passato, specialmente il consumo di mascherine monouso. Ma se questa è stata una necessità dettata dalla gravità del momento, sono tutti prodotti che, rilasciati nell’ambiente, risultano altamente inquinanti.
E purtroppo adesso non è raro vedere aggiungersi a decorare i marciapiedi delle città – oltre agli immancabili mozziconi di sigaretta e alle cartacce – mascherine e guanti in lattice, spesso realizzati con materiali non biodegradabili e che quindi impiegano centinaia di anni prima di dissolversi. Tutti questi rifiuti, dispersi nell’ambiente e uniti a una gestione impropria del loro smaltimento, possono causare danni alla fauna selvatica e alla vita marina. Per questo motivo un gruppo di ricercatori della School of Engineering all’RMIT University di Melbourne ha sviluppato un innovativo progetto per il recupero dei rifiuti prodotti durante la pandemia.
Lo studio dei ricercatori australiani pubblicato sul Science of the Total Environment ha analizzato alcuni campioni di calcestruzzo riciclato (RCA) con l’aggiunta di diverse percentuali di mascherine triturate (SFM). I risultati sperimentali hanno mostrato come l’RCA miscelato con tre diverse percentuali di SFM – cioè 1%, 2% e 3% – abbia soddisfatto i requisiti di rigidità e resistenza per la base e sottobase della pavimentazione stradale. Non solo: la presenza al 2% del materiale di scarto ha portato anche a un miglioramento della duttilità e flessibilità del manto stradale. Dalla ricerca è stato così stimato che se si aggiungesse l’1% di mascherine di scarto al calcestruzzo per realizzare un chilometro di strada a due corsie con una larghezza di 7 metri, sarebbero necessarie circa 93,2 tonnellate di SFM, rendendo possibile il riciclo di circa 3 milioni di mascherine sanitarie. Una soluzione che ridurrebbe drasticamente la necessità di materiale vergine – limitando le emissioni di gas serra nell’atmosfera – e abbattendo al contempo i costi di costruzione delle strade in maniera significativa.
Francesco di Nuzzo