Il progetto del MIT di Boston protegge la Terra dalle radiazioni solari e dagli effetti del cambiamento climatico
Caldo record, perdita della biodiversità e crisi umanitaria, i cambiamenti climatici sono una realtà che si aggrava ogni giorno di più e rappresentano una minaccia sempre più presente alla vita sulla Terra per come la conosciamo. Ma è possibile limitare gli effetti che l’aumento delle temperature sta causando al pianeta? È la nuova ricerca di un team interdisciplinare di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston, che integra soluzioni innovative di geoingegneria solare per la salvaguardia del clima. La proposta si basa, infatti, su un concept dell’ astronomo Robert Angel e consiste nel dispiegare nello spazio una particolare “zattera” formata da piccole bolle gonfiabili. Queste Bolle Spaziali (Space Bubbles) attraverso un sistema di rifrazione della luce agirebbero come uno scudo termico tra il sole e la nostra Terra, proteggendo la superficie dalle radiazioni solari.
“Riteniamo che portare avanti gli studi di realizzazione di uno scudo solare al livello successivo potrebbe aiutarci a prendere decisioni più informate negli anni a venire se gli approcci di geoingegneria diventassero urgenti”, ha affermato a riguardo il professor Carlo Ratti del MIT Senseable City Lab, uno dei ricercatori coinvolti nel progetto.
La zattera sarà composta da migliaia di Space Bubbles e posizionata vicino al Primo punto di Lagrange (L1), un’area nello spazio dove si annulla l’influenza gravitazionale tra la Terra e il Sole. La particolarità del progetto è che questo scudo non agirebbe direttamente sulla biosfera terrestre, così da non costituire un rischio in più per il nostro fragile ecosistema. I ricercatori stimano che questo sistema potrebbe compensare il 100% degli effetti dei gas serra nell’atmosfera. Nonostante a livello teorico questa possa sembrare una soluzione ottimale sono ancora molte le incognite che bisogna risolvere. Per cominciare, la zattera spaziale avrebbe dimensioni notevoli, più o meno grande come la superficie del Brasile, e in termini di costi andrebbe a pesare sullo 0,5% del PIL mondiale sui prossimi 50 anni. Per il momento i ricercatori si stanno concentrando su che materiale utilizzare perché le bolle resistano nello spazio e i potenziali effetti a lungo termine del progetto sull’ecosistema.
Francesco di Nuzzo