Venice Virtual Reality – Benvenuti nel nuovo mondo
La sezione collaterale della 76° Mostra del cinema di Venezia al Lazzaretto Vecchio del Lido.
La 76° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia si è appena conclusa. Per chi ha avuto modo di partecipare, la fine del festival significa una sola cosa: tornare sulla terraferma. La nostalgia della sala comincia a farsi sentire, ed è uno dei motivi del fascino e della presa di un evento di questo tipo. Ci si isola praticamente dal mondo esterno. Può succedere di tutto, ma lo sguardo è rivolto lì, sul grande schermo. I primi passi verso questa lenta disconnessione dalla realtà sono rappresentati dai vaporetti, quegli oggetti fluttuanti che, uno dopo l’altro, trasportano le persone verso il Lido di Venezia. Del resto, non ci sono alternative, a parte il nuoto. Lo stile libero è dunque da escludere.
Dietro a questo tragitto via mare c’è però una visione romantica di chi da quel momento si prepara a vivere una nuova edizione del festival, con i suoi film contrastanti, le sorprese e le conferme destinate a concorrere per i premi principali. Ognuno lo sente in maniera diversa. C’è la tipica discussione sulle opere viste o su ciò che ci si aspetta di assistere una volta varcata la soglia del cinema. O, al pari di un semplice rituale, c’è l’attesa di chi spera di approdare al molo in tempo per la proiezione.
Da due anni a questa parte, la Biennale ha deciso di compiere un altro passo in avanti, geografico e non solo. La nascita della Venice Virtual Reality (alla sua terza edizione) ha portato il pubblico a scoprire un micro mondo. Un luogo, anche questo, raggiungibile solo via barca. È il Lazzaretto Vecchio, un’isola che nel tempo è stata recuperata e restaurata grazie al supporto del Ministero Beni Culturali, e che ben presto ospiterà alcuni reperti storici di Venezia nel Museo della Città e della Laguna. In occasione del festival, diventa invece l’oasi della realtà virtuale. Qui davvero l’impressione è di essere trasportati in uno spazio indefinibile. L’inganno iniziale sta proprio nella presenza massiccia delle mura antiche; ma basta solamente un piccolo passo, e si è subito proiettati verso il futuro. La Mostra, insieme ad altre come il Tribeca e il Sundance Film Festival, è stata tra le prime a credere alle risorse di questo nuovo mezzo tecnologico. Il Venice Virtual Reality è suddiviso in tre diverse sezioni. Nella prima, definita lineare, l’interazione con i corti è stimolata solo da due sensi, la vista e l’udito. Nella seconda sono presenti invece delle vere e proprie installazioni, dove è l’utente stesso a influire sulla storia, nei limiti che l’autore ha previsto nella realizzazione del racconto. L’ultima, non meno importante, è il Best of VR, una selezione accurata dei corti presentati durante i festival in giro per il mondo.
Ancora è presto per considerarla allo stesso piano del cinema, ma i passi in avanti sono evidenti. A cominciare dagli stessi dispositivi messi in continua crescita. Il livello è migliorato a vista d’occhio grazie al supporto di visori di ultima generazione che rendono l’esperienza ancora più immersiva. Il merito va dato anche agli autori, che hanno decisamente sfruttato al meglio le potenzialità del mezzo riuscendo a veicolare messaggi che entrano con veemenza nella mente del pubblico. Per 15 minuti ci si è sentiti come il soldato Don Webb, costretto nel 1953 a subire degli esperimenti umani top secret da parte del governo inglese (Porton Down). Fortunatamente per noi tutto questo è solamente finzione, rincuorati durante la visione da uno stile che rimanda al fumetto in bianco e nero che risulta efficace e completo nella spiegazione del racconto.
Per un piccolo frangente si ha avuto invece la sensazione di volare. Basta mettersi il casco (o meglio, il visore), e si può viaggiare attorno alla luna, grazie alla potente installazione diLaurie Anderson To the Moon, che più che essere una grande giostra visiva, raccoglie tutto un insieme di aneddoti provenienti dalla filosofia e dalla mitologia antica trasferendola in uno scenario in apparenza sconnesso.
Il mito, unito all’arte e alla visione dell’autrice Miwa Komatsu, torna a essere al centro in un’altra installazione interessante, Inori. Il corto HTC Vive Originals di Szu-Ming Liu racconta le ispirazioni di un’artista che ha speso tutta la sua infanzia immersa nella natura. Da lì, Miwa attinge tutta una serie di forme e di colori su tela vengono combinati con il folklore e la memoria, dalla presenta di creature leggendarie ai ricordi del passato. Questa filosofia di vita passa, secondo l’autrice, per la meditazione, grazie a cui è possibile connettere la ricchezza e la bellezza del mondo con la complessità del proprio spirito.
Altro punto da tenere assolutamente presente è la quantità di generi che possono essere sfruttati da questa nuova tecnologia. A giovarne, con risultati soddisfacenti e straordinari, è l’animazione, dallo stop motion in Passenger, al CGI utilizzato egregiamente dagli autori di Ghost in the Shell: Ghost Chaser, capaci di mettere insieme una storia fluida con delle sequenze d’azione da pelle d’oca. Colpisce soprattutto l’opera di Jorge Tereso e Fernando Maldonado Gloomy Eyes, un racconto itinerante a 360° che ricorda molto lo zootropio. C’è però una differenza sostanziale. Lo sguardo, anziché essere all’esterno della “giostra”, si trova in verità al suo interno, con la conseguenza che l’illusione del movimento non è più dovuto al gioco di luci, ma dai personaggi stessi, un piccolo zombie e una graziosa mortale. Lo spettatore non può infatti rimanere fermo a godersi lo spettacolo, ma viene costretto a roteare secondo le azioni dei protagonisti, che per come sono immaginati dagli autori sembrano rifarsi ai mondi creati da Tim Burton.
Anche il documentario può avere dei grandi benefici nell’utilizzo di questi dispositivi. These Sleepless Nights di Gabo Arora si serve della realtà aumentata per portare al centro della discussione l’altra parte dell’America, da tempo spaccata in due. C’è chi è riuscito a vivere il sogno americano, e chi invece non l’ha nemmeno immaginato. Sono loro a stabilire un contatto diretto con il pubblico, grazie delle interviste che mettono in primo piano temi scontanti come gli espropri che hanno toccato alcuni abitanti degli Stati Uniti.
Dagli USA, si torna infine in Italia, con il corto VR Free di Milad Tangshir, che non solo affronta la vita nel carcere di Torino, a cominciare dagli spazi, ma riesce persino a rompere la quarta parete che divide lo spettatore e la storia. Questo nel momento in cui gli viene offerto un momento in cui può rivivere, insieme all’utente, alcuni ricordi toccanti e centrali della sua vita precedente.
Riccardo Lo Re
Credits e didascalie:
Immagine di copertina:
- Entrata principale del Lazzaretto Vecchio in occasione della terza edizione del Venice Virtual Reality.
Galleria:
- Immagini del Palazzo del cinema al Lido di Venezia (figura 1,2,3);
- La postazione di A Life in Flowers di Armando Kirwin;
- All’esterno dell’installazione di Céline Tricart The Key, vincitore al Venice Virtual Reality del Gran Premio della Giuria per la migliore opera immersiva;
- Il cubo in tela di These Sleepless Nights di Gabo Arora, capace di mettere in relazione il pubblico con le persone coinvolte nella crisi americana degli espropri delle abitazioni;
- L’esterno dell’installazione Inori di Liu Szu-ming e Komatsu Miwa (figura 7,8,9);
- Gloomy Eyes di Jorge Tereso e Fernando Maldonado (interno e foto ufficiale del corto).© Atlas V, 3Dar, Arte France, Ryot Studio, HTC Vive, Vive;
- La foto ufficiale del corto Porton Down di Callum Cooper. © Callum Cooper, Constance Nuttall;
- Una scena del corto italiano VR Free di Milad Tangshir. © Associazione Museo Nazionale del Cinema;
- Una scena da Ghost in the Shell: Ghost Chasers. ©Production I.G. , Kodansha, Brogent Global, Dentsu, Bandai Namco Arts.