La lunga storia d’amore di Sandro Fratini per gli orologi

«Tutto iniziò quasi sessant’anni fa, quando per la mia prima comunione – era il 1961 – un parente mi regalò un orologio, uno di quelli che si regalano a un bimbo di nove anni. Era un Longines placcato d’oro, non prezioso in sé ma preziosissimo per me, perché fui immediatamente rapito dai ruotismi del meccanismo, che mi affascinarono per la loro capacità di scandire il tempo lavorando tutti insieme. Successivamente mia nonna mi comprò altri segnatempo, molto semplici ma per me bellissimi e importantissimi. Così iniziò per me questa storia d’amore con gli orologi, che mi ha accompagnato nella vita e che dura tuttora».

Sono parole al miele quelle che Sandro Fratini usa per parlare della passione della sua vita. L’imprenditore toscano, che ha legato il proprio nome a quello dell’azienda di famiglia, la Rifle di Barberino di Mugello, marchio storico del jeans in Italia, è uno tra i più grandi collezionisti di orologi al mondo. Talmente grande che, cosa singolare, nemmeno sa quanti ne possiede: «Non li ho mai contati, saranno circa duemila. Li tengo in diverse cassette di sicurezza, in più banche. Non li ho nemmeno mai indossati, o meglio, magari solo per un giorno o due subito dopo averli acquistati, ma poi li ho subito riposti in banca». Una collezione, la sua, nella quale troverebbe un posto d’onore quel primo Longines: «Ma purtroppo non ce l’ho più, me l’hanno rubato nel 1972, quando avevo 19 anni. In quel periodo comprai i miei primi Universal Genève, che per me allora erano il massimo e che ricordo con molto affetto e soddisfazione. Negli anni ho avuto un grande socio, mio padre Giulio; quando ero più giovane e non potevo permettermeli, mi comprava lui gli orologi, gli piaceva quella mia passione e ammetto che, all’epoca, senza di lui non avrei potuto fare nulla. Non ero all’altezza di spendere certe cifre, rispetto a oggi contenute ma che in proporzione rappresentavano tanti soldi».

Perché quello, per chi amava gli orologi, era un mondo del tutto diverso dall’attuale. «A quei tempi non c’era un mercato come c’è oggi, non esistevano i rivenditori specializzati nel secondo polso; gli anni Settanta erano il momento degli ultrapiatti, del quarzo, mentre gli orologi che piacevano a me, meccanici, potevano sembrare obsoleti ai più. Anche per questo motivo ebbi campo libero quando li cercavo: a questi orologi non si riconosceva il pregio che più o meno tutti oggi riconoscono e quindi fu un periodo in cui operai quasi in solitudine. Bravura poca, ma tanto istinto e passione per cercare le cose che davvero mi piacevano, senza pensare a quello che avrebbe potuto essere il loro valore futuro». È così che, pian piano, si sono accresciute la consapevolezza di Fratini e la sua collezione: «Ho cominciato ad apprezzare le grandi marche perché a me sono sempre piaciuti gli orologi complicati e trovare certe complicazioni significava per forza di cose cercarle in quelle poche Maison in grado di produrle, calendari perpetui e cronografi in primis. Avevo una predilezione spiccata per Rolex e Patek Philippe, che erano i marchi che incarnavano ciò che amavo, per cui mi orientavo prevalentemente su quelli; il 1518 Quantieme Perpetuel di Patek Philippe, per esempio, rappresenta per me l’essenza dell’orologio, una complicazione che mista al design unico mi fa battere il cuore più delle altre. Trovavo i miei pezzi dagli antiquari, proprio perché come ho detto prima non esistevano commercianti specializzati nel vintage; c’erano però gli orologiai riparatori, che a volte ritiravano orologi da persone che non li indossavano più. Ogni volta che passavo da loro, in giro per il mondo per lavoro, chiedevo se avessero nel cassetto qualcosa di interessante; che fossi a New York, a Hong Kong, Rio de Janeiro, ovunque mi trovassi andavo a chiedere per vedere se avevo fortuna. Buona parte della mia collezione è nata così, da una ricerca che aveva come palcoscenico il mondo».

Un mondo che, con l’arrivo del web, si è molto ristretto anche e soprattutto per i collezionisti di segnatempo: «L’adrenalina che sale trovando una rarità è rimasta quella di una volta, ciò che è cambiato sono le condizioni; oggi si sa tutto stando seduti davanti al proprio computer, mentre allora bisognava alzarsi, andare e cercare, tutto era più difficile ma più affascinante. Ciò non toglie che trovare oggi il colpo a sensazione, come poteva accadere quarant’anni fa, diventa molto complicato, soprattutto con gli alti valori raggiunti dagli orologi, in alcuni casi giustificati ma in altri no». E di colpi a sensazione, Fratini ne avrebbe decine da raccontare, ma uno gli è rimasto particolarmente nel cuore: «Ero a L’Avana, non ricordo l’anno, e mi fu detto che una signora possedeva un cronografo che voleva vendere; non si sapeva se fosse d’oro, d’acciaio, di quale marca… nulla. L’orologio era appartenuto al marito, che era stato fucilato sotto il regime di Fidel Castro; ebbene, quando arrivai dalla signora, lei prese una scatola di biscotti e vi tolse il segnatempo: era un Patek Philippe pulsanti tondi in oro rosa con quadrante rosa. Un vero colpo a sensazione: da quanto ero emozionato le diedi il doppio di quello che mi chiese. Ma ci sono altri pezzi che trovai in questo modo rocambolesco; per esempio, passai una notte di Capodanno a Miami ad esaminare diversi Rolex Daytona con una persona che faceva per me queste ricerche in America, senza nemmeno accorgermi dei botti di mezzanotte».

Anche un cacciatore come Sandro Fratini, però, qualche rarità non è riuscito ad afferrarla: «Certamente mi sono sfuggiti da sotto il naso pezzi che avrei voluto, o perché sono arrivato tardi, o perché non sono riuscito ad aggiudicarmeli in asta. Alle prime aste c’ero sempre, partecipavo a tutte e quasi sempre riuscivo ad aggiudicarmi ciò che volevo; a volte, però, arrivato a un certo punto, non alzavo più la paletta perché avevo deciso di darmi un limite, doloroso ma necessario». Un anno e mezzo fa, la passione di Fratini è diventata un libro, My time – Blu blu l’amore è blu, firmato dalla casa d’aste Christie’s e pubblicato dall’editore Fam. «È un libro d’amore, una storia d’amore come Via col vento, anzi la chiamerei “Via col tempo”. Una storia d’amore anche nel linguaggio che uso, che non è squisitamente tecnico ma punta molto di più sulle immagini, sull’estetica. In più, ho scelto di mettere gli orologi sullo sfondo blu di diversi denim perché entrambi, jeans e segnatempo, sono gli amori della mia vita. Del resto, io sono così – conclude: sono un romantico, faccio le cose solo se queste mi danno emozione nel farle».

 

Davide Passoni

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